Quando tutto è stato detto, quando la scena madre sembra chiusa, c’è il dopo,
e mi sembra importante far vedere il personaggio proprio in questi momenti, e di spalle e di faccia,
e un suo gesto, e un suo atteggiamento, perché servono a chiarire tutto quello che è avvenuto
e quello che di quanto è avvenuto è rimasto dentro ai personaggi.

“Ma perché mi sono così innamorata di te?”

Ispirato a un dialogo immaginario tra Michelangelo Antonioni e il suo personaggio Claudia (Monica Vitti) ne “L’Avventura” (1960).

Anche nella vita, accade così. Ciò che è davvero esaltante, interessante, commovente, è il dopo.

Dopo che incontri una persona, e devi lasciarla, poi. Arriva il dopo. Dopo che hai studiato. Cerchi lavoro, inventi il tuo percorso, scali la tua strada. La tua anima prende forma. Dopo che ti sposi. La costruzione di un amore parte da quelle promesse. Le promesse che sono le premesse del tutto. L’inizio del dopo. Dopo un sì. O dopo un no. Il sì cosa comporta? Stai inseguendo quel sì? Mi stai confermando, quel sì? E quel no. È una negazione, o un modo di trattenermi? Trattenere in qualche modo la mia anima attaccata a te? Dopo che qualcuno se ne va via. La porta si chiude. E tu rimani lì. Attendi un citofono che suona. Un clacson. Il rumore della macchina. A volte ritorna. A volte no.

Michelangelo Antonioni racconta tutto questo in una scena, in una stanza. Dicono che lui fosse il narratore dell’incomunicabilità. In realtà  lui, genio dei sentimenti, raccontava tutto il comunicabile, con dettagli, istanti e silenzi. Claudia (Monica Vitti, “L’Avventura”, 1960), nella sua stanza, canta una canzone di Mina. Stanza disordinata. Vestiti sul suo letto. Collant autoreggenti.

Lui arriva. Lui, che ha paura dei sentimenti. Lei, ora che ha accettato i suoi sentimenti, non vede l’ora di viverli. Ironica, contenta, energica. Cosciente di sé. “Ma perché mi sono così innamorata di te?”

Lui non capisce. La guarda perplesso, ha paura. Non vuole impegni. Non vuole un ruolo. Solo un’avventura. “Perché devo dirti che ti amo. Lo sai.”

Lui va via. La porta si chiude. Qui, la scena era terminata. Ma non per il regista.

Michelangelo Antonioni continua a girare. Osserva e spia ancora, con il suo occhio, la sua musa. Monica Vitti è inginocchiata. Si guarda intorno. Buffamente mette le mani nelle tasche. Ci gioca. Il silenzio. Momento inutile alla narrazione, eppure così importante per noi. Claudia è sola con se stessa, non canta più. Ha capito di amare, e di non essere totalmente ricambiata. Noi la stiamo conoscendo più qui, che in tutte le sue parole. È buffa lei. E convive con questa emozione.

Come conviviamo tutti, con il dopo.

Dopo che diciamo ti amo, che chiudiamo la porta, la lasciamo alle nostre spalle.

Il nostro sguardo cambia, muta. È più vivo. O più triste, per una improvvisa sensazione di vuoto.

Dopo.

Michelangelo Antonioni, genio dei sentimenti, mi ha fatto innamorare di lui, perché ha saputo andare oltre.

Oltre quella porta. Dopo la parola.

Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com  

 

 

 

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