“Mimì, lo sai quando si piange? Quando si conosce il bene e non si può avere.
E io bene non ne conosco: la soddisfazione di piangere non l’ho potuta mai avere.”

Matrimonio all’Italiana (V. De Sica, 1964) 

 

La storia, se ci pensiamo, è la più antica del mondo. 

In questo istante Filumena Marturano, (Sophia Loren), dopo vent’anni trascorsi accanto a un uomo, Domenico Soriano (Marcello Mastroianni) come serva, donna, moglie, madre, amante, viene tradita. Lui, uno dei peggiori tipi di uomo, l’ha sfruttata. Usata. Chiusa in casa senza farle vedere la luce. Perché ex prostituta, perché donna non degna di lui, per lui.

Traditore, Don Giovanni, attaccato “a mammà”. Ora, perde la testa per la cassiera del suo negozio, una giovane ragazza di vent’anni. E vuole sposarla.

Filumena Marturano è un dramma. Il dramma di una donna costretta a prostituirsi, e poi “salvata” da Domenico Soriano. Donna con tre figli, nascosti, da far crescere, da accudire, lontano da questo uomo. Tre figli, di quest’uomo. 

Eppure in questo momento Sophia Loren, diretta dal genio di Vittorio De Sica, rende un dramma una scena comica, meravigliosa. Lui, al telefono, in primo piano, con voce svenevole e viscida, promette alla giovane ragazza di poterla sposare ora, perché “la poveretta è morta”. Ma Filumena aveva finto di essere morta, per farsi sposare, certo con l’inganno. Per essere, finalmente, dopo vent’anni di sottomissione, la Signora Soriano. Perché lei, in realtà, quell’uomo l’ha sempre amato.

Domenico Soriano, al telefono. Le tende rosse dietro di lui si aprono. E a noi appare Sophia Loren. Bellissima. Fisica. Disperata. Occhi sconvolti pieni di sfumature di emozioni.

Dummì sto qua. La “Poveretta” sta qua! Vivente! La Madonna m’ha fatto ‘a Grazia. Siamo Marito e Moglie. Eh Eh! 

Qui, crollo dell’identità maschile. L’uomo d’un pezzo, Maschio “all’italiana”, inciampa tra le tende, trema, strabuzza gli occhi incredulo. Balbetta. Si sente lui, tradito, da un’intelligenza femminile oggettivamente superiore.

G. Nistri, Locandina di Matrimonio all'Italiana, 1963.

 

G. Nistri, Locandina di Matrimonio all’Italiana, 1963.

Ti ho permesso di cambiare la cassiera una, due, tre volte. La prima: ci sono passata sopra. «Filumé ti devi riposare»… E vabbè riposiamoci. La seconda: per fortuna ti ha lasciato lei. E la terza te la volevi sposare. Quella schifosa!

Malafemmena. Malafemmena sei stata e tale sei rimasta.

Bada che parli di tua moglie. Io. La signora Soriano. ME!

Sofia Loren è naturale, presente, vera. Mangia il piatto freddo, con il cuore ferito. Manda a quel paese l’uomo amato, chiude stizzita il frigorifero, sposta i piatti nervosa e comunque dolcissima.  A Domenico Soriano sembra che arrivi un infarto.

Non muore dotto’, non muore. A chi non c’ha cuore non può venire un infarto!

Una delle locandine di questo film mi ha particolarmente incuriosita (G. Nistri, 1963). Lei, in ginocchio, guarda in alto. Illuminata da una luce che arriva da destra, si sostiene a lui. Lui, senza volto, un tronco di corpo irremovibile.  Uomo forte, salvatore, potente. Lei, donna servile, adorante, sottomessa: questa era l’immagine dell’identità di coppia dell’epoca. Di un’epoca neanche poi così lontana, purtroppo fin troppo contemporanea.

Ma questa scena, questi due minuti di altissimo cinema e teatralità, ci ricorda quanto la donna, e le sue emozioni, possano superare ogni ostacolo e denigrazione. Grazie Sophia Loren per questa Filumena mai davvero rassegnata. Che firma lentamente perché non ha avuto una educazione scolastica, ma che in quella firma sottolinea e dà forza ad ogni lettera, segno.

Una firma orgogliosa e degna.

Una firma femmina. Che afferma la sua intoccabile Identità.

 

Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com  

 

 

 

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