– Mi hai fatto intravvedere la mia prima impressione di vita vera. E poi mi hai detto di continuare a viverne una falsa. Nessuno può resistere a tanto.

– Io sto resistendo.

L’età dell’ Innocenza, M. Scorsese, 1993

Spesso, la bellezza più sconvolgente arriva del tutto inaspettata.

Distratta, camminavo per la National Gallery di Londra, quando un dipinto mi rapì. Rimasi attratta da un colore: un rosso luminoso, morbido, lucido, penetranto. Nel Sansone e Dalila di Rubens (1609 ca.), io riconobbi la forma della passione.

Di fronte a me il climax de L’Età dell’Innocenza, film di Martin Scorsese del 1993.

Ellen Olenska (Michelle Pfeiffer), abbraccia l’uomo che ama, ma che per voler dell’Alta Società  non può amare: Newland Archer (Daniel Day Lewis). Newland, figlio di una ricca e rinomata famiglia Newyorkese della fine dell’Ottocento, è promesso sposo alla giovane e delicata May, cugina dell’affascinante, tormentata e  anti-convenzionale contessa Olenska.
L’arte pittorica, in questo capolavoro, non è solo onnipresente sulle pareti delle meravigliose dimore, ma diventa tableau vivant.
Si impossessa dei personaggi, del loro stesso sangue. In questo momento Ellen, come Dalila, toglie ogni forza al suo amato, affermando:

Non posso amarti, se ti amassi ti rovinerei. Rovinerei quello che più amo di te. Non riusciresti ad amarmi facendo soffrire qualcun’altro. Non sarebbe amore.

Tutto il loro desiderio si rincorre nei colori, nelle pose. Tutta la libertà è trattenuta e celata dietro la perfezione maniacale degli ornamenti, delle posate, dei piatti serviti, degli abiti, dei guanti, dei sigari, dei bigliettini elegantemente scritti e siglati da fredde penne stilografiche. Tutto l’istinto è trattenuto dietro le apparenze di una società che uccide, lentamente, la coscienza individuale.
Solo il fuoco, rosso e vivo, in alcuni istanti brucia, crolla, sposta il legno, si infiamma, si quieta. E lei, la contessa Olenska, prima di questo istante, l’abbiamo sempre incontrata vestita di rosso, o di color porpora. Da questa scena in poi, Ellen Olenska la vedremo sempre vestita di bianco.
Perché da ora in poi sarà investita dell’amore di lui. Lui, che qui, come Sansone ai piedi di Dalila, perde ogni sua forza e invade d’amore lei, in un abbraccio dilatato nel tempo realizzato da Scorsese con stacchi e dissolvenze, su una sola immagine:

Lei, seduta sul divano. Lui ai suoi piedi, le stringe la vita. Disperato.

Martin Scorsese, L’età dell’innocenza, 1993.

Martin Scorsese, L’età dell’innocenza, 1993 

Questa iconografia artistica racconta a noi spettatori una storia nella storia. Un sottotesto ineludibile. Pieter Paul Rubens è presente in quell’abbraccio, con quel rosso celato, in quella scena intima e diretta. E l’epifania del protagonista, avviene, dopo anni, a Parigi.
Eccolo, il pARTicolare.
In un attimo preciso, al museo del Louvre, Newland Archer ritrova tutta quella forza perduta. Il nostro protagonista si ritrova nell’immensa stanza dedicata proprio a Pieter Paul Rubens. Di fronte a un suo dipinto fisico e intenso, Newland Archer pensa:

Ho solo 57 anni.

Qui, sentirà che non vorrà più incontrarla. Perché gli basta il ricordo di lei, Ellen Olenska, la donna che gli fece conoscere la vita vera. La passione, la tentazione. Passione che le società di ogni tempo, cercano di placare. Sedare. Nascondere.  Distrarre. Allontanare.
Ogni epoca con le sue regole.
Ogni cultura con le sue ragioni.
Quella passione che il pittore fiammingo, con il suo rosso, ci intima ora e sempre di riconoscere, e di vivere.

 

Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com   

 

 

 

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