C’è silenzio, disegnato dai respiri, dai passi. Dal fruscio di una gonna.

La donna, ripresa di spalle. Vediamo la sua nuca.

Una forma a clessidra, anche la sua nuca. Bionda.

O Bruna.

Una donna italiana. Il volto non c’è. Solo da immaginare.

Intorno, uomini.

Nel 1954 Mario de Biasi (1923 – 2013) realizza un servizio fotografico dal titolo Gli uomini si voltano. Il fotografo insegue una modella sconosciuta in una calda estate milanese. Le fotografie furono realizzate per il magazine Bolero Film. Non è un servizio di moda. Eppure lo sembra. È un reportage. Un reportage sociale, sincero,  profondamente artistico. Maddalena Renzi scrive: “Siamo immersi nelle conversazioni milanesi al Bar Zucca, nel rumore delle vespe  che corrono veloci, nelle pagine de La Notte”. ( Mia traduzione da Italian Eyes, 2005)

La Notte, film di Michelangelo Antonioni del 1961. Realizzato sette anni dopo.  Film che racconta una Milano lontana da noi. Lontana dai protagonisti stessi. Non è un caso che proprio Michelangelo Antonio sia il regista citato dalla scrittrice. Facciamo un passo avanti dal servizio di Mario de Biasi.
1960. Anno fondamentale e meraviglioso per il cinema italiano. Tre sono i film che, come un razzo, squarciano la storia della nostra cinematografia: La Dolce Vita, Federico Fellini; Rocco e i suoi fratelli, Luchino Visconti; L’Avventura, Michelangelo Antonioni. Proprio ne L’Avventura, Antonioni realizza, a modo suo, lo stesso reportage che sei anni prima De Biasi realizzò con la sua macchina fotografica: Claudia, (Monica Vitti), si ritrova ad attendere l’uomo che ama a Noto, nelle strade calde e roventi di una Sicilia che con i suoi paesaggi forti, spaventosi  e imprevedibili, riflette lo stato d’animo di questa donna sconvolta e sconvolgente. Donna moderna in un mondo antico.

Gli uomini, sono gli stessi. Stessi sguardi della fotografia di De Biasi. Nonostante la città sia diversa. Nonostante gli anni siano diversi. Nonostante la donna, sia interamente diversa. Gli uomini si voltano, osservano, guardano, commentano “Guarda che bella” “Sarà una francese”, affermano, in dialetto siciliano. Gli uomini sono gli stessi. Gli sguardi invadenti, di giudizio, di flirt, di curiosità, di ricerca di approccio. Ciò che cambia, però, è la donna.
La donna di De Biasi, nel suo tubino bianco, è dritta, orgogliosa, una donna che guarda e si fa guardare, nonchalant, in una elegante Milano del Dopoguerra.  Una donna pronta ad accogliere le luci e gli sguardi dei passanti. Milano è la città che, come si vedrà sempre nel 1960 in Rocco e  i suoi fratelli, sarà accoglienza e carnefice, madre e matrigna, città dei balocchi e della tragedia. Il fotografo nel suo reportage afferma:

 “La seguo come un’ombra. Ma come farò a fermarla di fronte a tutte queste persone? […] Tutti si chiedono chi sia, tutti vogliono un autografo. È circondata da sguardi, commenti, ammiccamenti.” 

Chi era, infine, la donna? Miranda Orfei. Simbolo del circo. Una metafora dell’osservazione come spettacolo, meraviglia e meraviglioso. Donna di moda e di modernità. La Claudia di Antonioni sarà donna di vita vera, ancorata ai pregiudizi, per niente contenta del suo ruolo da protagonista. Claudia si sentirà osservata, tarpata, in gabbia. Nella gabbia del giudizio. Lei, come una bestia in gabbia tra gli occhi degli uomini. Scapperà per rifugiarsi in un negozio. Uno spazio chiuso che paradossalmente la farà sentire più libera di una piazza di sguardi. Il circo è intorno a lei. Cavia di sentimenti e di occhi. Martire di un amore che prova e non vorrebbe provare.

Il tutto, osservando solo la sua nuca.

Lo sguardo dell’uomo si allontana.

La donna si libera.

L’uomo, entrerà in gabbia.

L’amore, che non vorrà, non lo salverà.

 Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com 

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