La donna più di chiunque altro vuole e deve nascondere.

Ogni cultura, tempo, società, ha coperto la sua libertà di essere e vivere. La donna deve dimenticare se stessa. Le proprie forme e desideri. La sua passione deve essere avvolta, nella nebbia. Nebbia leggera e solitaria.

 I segreti si impossessano di lei. Fino a tormentarla. Ma nel suo sguardo troviamo mille pensieri e conflitti.

Segreti inconfessabili. Nel suo sguardo, ritroviamo il nostro giudizio verso di lei.

Sempre. 

Gli scatti, l’occhio sulla donna di Paolo Roversi (Ravenna, 1947) sono tutti uniti tra loro. Raccontano una storia sola. Una storia antica. Il silenzio. La solitudine. La rabbia e chiusura della donna. Non solo nei confronti della società. Quello è ormai riconosciuto. Ma anche nei confronti di se stessa. La sguardo di Roversi invece le seduce con calma. Le osserva nei loro momenti intimi, senza giudicarle. Loro, però, si sentono così. Attanagliate. Circondate. Isolate. Perse nei loro segreti. L’occhio indagatore e giudice le fa sentire sempre colpevoli. E se non colpevoli, sole.

Una donna guarda incattivita e aggressiva la camera, come per valorizzare la sua libertà, il suo spazio vitale. Un’altra la vediamo di spalle, che cammina tra gli specchi. Da sola. Un’altra ancora si osserva, nuda, allo specchio. Si desidera nella sua libertà di donna.

Ma in pARTicolare, uno scatto.
In pARTicolare, in una foto lo sguardo indagatore e giudice lo sentiamo non da parte del fotografo, dell’artista osservatore. Ma lo vediamo presente sulla stessa protagonista. È presente su di lei, trascritto in un abito. Una Donna, mascolina, con i capelli tirati indietro. Occhi grandissimi. In questo istante viene baciata da un’altra donna.
Un’altra se stessa. Un’altra lei. Lo sdoppiamento, la presenza di due volontà nella stessa donna qui si ritrovano. Immagine che mi ricorda le mani che si specchiano, i volti scostanti de Le due donne di Tahiti di Paul Gauguin. 

P. Gauguin, Due donne di Tahiti, 1891 

Due donne. Anche qui con Roversi. A differenza della donna di Gauguin, questa protagonista ci guarda. Si sente osservata, colta in un momento intimo. I suoi occhi ci dicono che si sente immediatamente giudicata. E Roversi non giudica. Ma l’artista, a  noi spettatori,  fa percepire  il Giudizio. Dallo sguardo intimidito di lei.  Ma soprattutto da quegli occhi. Quei suoi occhi che si ripetono, ancora e ancora sul suo vestito.
Addosso lei è coperta di sguardi. Di parole, pensieri, convinzioni. Di pregiudizi.
Roversi invece ci insegna, con il suo sguardo leggero e nebbioso, solo ad amarla. Ad amare il suo modo di farsi amare in questo istante. Da un’altra donna. Da un’altra lei. Lo sguardo del fotografo  vuole insegnarle a volersi amare. Ad amare se stessa. Così bella. Pelle d’ebano. Occhi magnetici. Perché forse questo è il vero segreto: permettere ad un’altra persona di amarci, è un dono che facciamo prima di tutto a noi stesse.

Decidiamo, in quell’istante, di poter meritare l’amore. 

Lei è distratta, ora. Da noi. Ma non è sola. Come le altre donne.

Ha un amore accanto.

E l’artista le sussurra, tra la nebbia, la sua possibilità di essere libera.

Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com 

Federica Maria Marrella

Classe 1986. PhD in Comunicazione e Nuove Tecnologie. Il mio lavoro di ricerca si concentra sull’Iconografia Femminile nella Fotografia di Moda Contemporanea. Storica dell’Arte, Educatrice Museale. Docente di Storia dell’Arte. Scrittrice. Curiosa osservatrice. Amante della Poesia e della Musica. Costruttrice attenta e costante di Piccoli Sogni.

Lascia un commento...