Steven Meisel nasce a New York nel 1954.
La sua fotografia di moda è controversa, coraggiosa, sfacciata e a tratti sconvolgente.  Nel 2015 ha realizzato il Calendario Pirelli, ed è conosciuto soprattutto per i vari servizi di moda realizzati per Vogue Italia e Vogue Usa. Ciò che mi colpisce più di lui, è il suo legame molto glamour e misterioso con il cinema. Nonostante i suoi scatti siano molto forti e diretti, ricordiamo il servizio fotografico realizzato a Madonna negli anni Novanta dal titolo Sex, Meisel mantiene in molte sue opere una allure cinematografia, di altri tempi. Un modo tutto suo di raccontare o fare immaginare una storia, un discorso, un tempo interrotto. Il rapporto di coppia spezzato, il pregiudizio che si disgela. Le mura potenti e ingombranti. Un modo nuovo di interpretare un passato eterno e nostalgico. Un’atmosfera noir e retrò allo stesso tempo.

Vediamo qui, in pARTicolare, un servizio fotografico del 1992 per Dolce e Gabbana. Modella, Monica Bellucci. E, riferimenti artistici: Federico Fellini con la sua Dolce Vita.

Steven Meisel, Campagna del 1992 per Dolce e Gabbana, Monica Bellucci


Rugantino, Roma, 1958. La ballerina egiziana Aiché Nanà inizia uno spogliarello.
Tazio Secchiaroli, un paparazzo, è lì.  Riprende tutto.
Federico Fellini, sarà li, due anni dopo, nella sua Dolce Vita a raccontare lo scoop. E nel 1992, per Dolce e Gabbana, ci sarà Steven Meisel. Il tutto, nel fragore, tra i flash, le curve, le macchine fotografiche, e il bianco e nero dell’eterna Dolce Vita.
Nel servizio del 1992 per Dolce e Gabbana, Steven Meisel riconsegna alla moda quello scenario holliwoodiano tipico dei giornali scandalistici. Ma l’allure è eterna. Il citazionismo di uno dei più grandi registi italiani, Federico Fellini, è una ventata di freschezza e ironia nelle fotografie dell’epoca.

Non vi è posa forzata. Nessun distacco, freddezza, nessuna patina. Se non la distanza stessa della troppa bellezza.
Movimento, sguardi desiderosi,  abiti in nero e battiti di mani.
Una batteria che dà il tempo.
Uomini in cerchio curiosi. Gli uomini: non vi è volgarità negli sguardi maschili.  Vi è quella perdita del sé, tra il gioioso e l’irrazionale degli anni del Boom economico. Una curiosità intima.  Un po’ stupiti per l’audacia. Di chi? Di lei.

Lei, Monica Bellucci, al centro. Bellissima, conturbante. Simbolo lei stessa di tutte le donne ritratte da Fellini nel capolavoro del 1960:  donna straniera, esotica e intoccabile, donna madre, donna amante, donna rassicurante, donna prostituta. Una Venere che nasce nuova, contemporanea e morbida. Nessuna malattia in lei, negli anni in cui l’anoressia, la droga erano ritratti contemporanei delle modelle dell’epoca, il Lo-fi che sottolineava i difetti non solo umani ma anche della fotografia. Qui no. Monica Bellucci, venere in bianco, balla e si dimena come una giovane ragazza nella via Veneto Romana. Capelli in acconciatura anni ’60, un’iconografia che casualmente rimanda proprio a Anita Ekberg. Donna esotica, inoltre, scaraventata nel centro italiano.
Un vestitino bianco e stretto che sottolinea le forme, per niente censurate. Occhi neri, labbra disegnate. Testa reclinata indietro. Contro i riti della moda dell’epoca, che voleva modelle come Kate Moss, diafane e sofferenti, qui Steven Meisel  ricrea invece quella libertà della femminilità italiana, quel sogno ancora fisico e presente negli anni Novanta.  Quel film che ha raccontato i desideri dell’uomo italiano,  e forse di tutti gli uomini. I contrasti tra sogno e realtà, tra finzione e relazioni. Il tutto ritratto da un fotografo di moda. Che sapeva di arte. Tra le mani, una musa perfetta.

La sorpresa è arrivata.

Una venere bruna inizia a spogliarsi, felice.

Nel bianco e nero di un film che non c’è più. Tra uomini che non ci sono più.

Nella dissolutezza gioiosa e un po’ folle di via Veneto.

Una Dolce vita eterna. Eternamente italiana.

Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com.

 

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