Oro.

Oro ovunque.

Una collana stretta. Pietre preziose e oro.

Quel gioiello stringe un collo alto, superbo.

E un volto.

Di occhi socchiusi. Di labbra rosse. Di chioma intensa.

La Giuditta I di Gustav Klimt (1901) racconta una storia lontana e molto conosciuta. La sua opera in particolare è tratta dal libro apocrifo “Giuditta”: nel momento in cui le truppe assire assediano Betulia, città Giudea di confine, Giuditta entra disarmata nell’accampamento di Oloferne. Egli, condottiero dell’esercito assiro, rimane sedotto dal suo fascino. E verrà decapitato da Giuditta con la sua stessa spada. Gustav Klimt sconvolge l’iconografia e l’immagine femminile dell’epoca e non solo nell’arte pittorica. L’immagine della donna anche nell’arte fotografica ricalcherà sempre questo sguardo.

Donna superba, diafana, che lega Eros Thanatos. La sua sessualità è pericolo di morte e perdita del sé. Quel gioiello intorno al collo, simbolo per eccellenza di erotismo, diventeranno i bracciali afroamericani nei ritratti fotografici degli anni Venti di Nancy Cunard. Simbolo reiterato di Sessualità. 

La pelle di Giuditta, osservata da vicino, è in totale contrasto con l’oro splendente del dipinto. È verde. Verde e rosa. Rossa solo intorno alle guance e sulle labbra. Studiate e ristudiate dall’artista come si scopre dalle fotografie a infrarossi dell’opera. Il petto della donna doveva essere coperto dall’abito di chiffon. In seguito, Klimt decide di scoprirlo. Petto sensuale e nudo, e un ombelico,  studiato e ristudiato anch’esso dalle mani dell’artista.

Ma  il pARTicolare è un altro.

Quel braccio destro di Giuditta, spinge via, fuori dallo “schermo”, fuori dall’occhio del pittore fotografo.

Fuori.

La testa di Oloferne.

Non solo decapitata, distrutta. Anche messa da parte. Scostata. Spezzata in due dalla cornice del dipinto. Dallo sguardo creatore. Quella testa,ora, non è più importante. Dalla fotografia a infrarossi si scopre un altro elemento: era proprio la testa di Oloferne a coprire il petto della giovane. Ora no. Giuditta la sposta verso la sua sinistra, come fosse una tenda. Lei, sul palco, tra l’oro. Lei, sposta quell’elemento di ingombro. Lei, si denuda di fronte  al nostro sguardo, orgogliosa del suo atto e superba nella sua bellezza.

Gli occhi socchiusi nell’estasi della sua potenza.

Il collo altero si muove verso dietro, quasi a preannunciare un inchino della performer. Pronta a prendere gli applausi meritati. Un inchino di ringraziamento. 

Oro.

In fondo una scenografia intensa e miracolosa.

Di fronte lei, attrice e donna.

Sotto, quel volto di Oloferne. Spezzato, scostato, dormiente.

Un inchino.

E noi, in piedi. In un lungo applauso. 

Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com 

 

 

 

Federica Maria Marrella

Classe 1986. PhD in Comunicazione e Nuove Tecnologie. Il mio lavoro di ricerca si concentra sull’Iconografia Femminile nella Fotografia di Moda Contemporanea. Storica dell’Arte, Educatrice Museale. Docente di Storia dell’Arte. Scrittrice. Curiosa osservatrice. Amante della Poesia e della Musica. Costruttrice attenta e costante di Piccoli Sogni.

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