-C’è qualcosa che mi ha colpito di lui, Fede. Dei suoi scatti intendo.
-?
-… No, fa niente.
-Dimmelo.
-Ecco… Le foglie. Le hai guardate? Insomma… Bourdin ha altri elementi nella fotografia che lo rendono famoso lo so, ma… Ecco. Le foglie. Sono… Non so. Sono morbide. Ecco. Sono… Non so dire. Insomma, sì, loro.
Le foglie.

Ciò che colpisce nelle fotografie di Guy Bourdin è la geometria.
La costruzione maniacale e cristallizzata dello spazio.
Ho provato a seguire le linee dei suoi scatti. Sono decise, tormentate, strette e ampie allo stesso tempo. I corpi dei personaggi formano coni, rettangoli in verticale o in orizzontale. Ombre che scivolano sui muri, attaccate però alla luce del sole come l’aria allo spettro delle cose. I corpi delle donne sono chiari e definiti come lettere dell’alfabeto: intricate Z, decise AI in prospettiva, C appoggiate a un tavolo di un bar. X, con braccia e gambe aperte al piacere e alla proibizione.

Geometria e Lettere. Forme e Pensiero. Angoli e Parole.

G. Bourdin, Vogue Paris, Febbraio 1971

C’è una violenza importante nelle prime sue fotografie in bianco e nero, quelle tra il 1950 e il 1980 esposte ora nella mostra dal titolo In Between a lui dedicata, in Galleria Carla Sozzani di Milano. Scatti magistrali realizzati per Vogue. Una violenza che nella sua opera più tarda più conosciuta diventerà violenza e fetish sul femminile, violenza sulla donna: per terra, gettata come carta ai margini di una strada, dietro una macchina in corsa, con portiere aperte e colpevoli assenti e perduti. Ma in questi scatti c’è ancora una poesia matematica. Una struttura di fondo, una luce angelica in tenebre concise.
Il mistero inizia a imporsi nel suo modo di narrare.

Però ci sono due dettagli che si stagliano su tutto.

Lo sfuocato. Guy Bourdin, fotografo di moda che diventerà il re del patinato, del definito, del colore dirompente, qui negli scatti in bianco e nero lavora anche sul corpo in movimento, sulla donna sfuggente, sul corpo in evoluzione e dissoluzione.

E poi sì. Le foglie.

Le ho osservate. Si adagiano tra la luce e l’aria, nel terreno scosceso e nel terreno presente. Come ovatta sembrano attutire i rumori e i silenzi di quegli scatti perfetti, sembrano nasconderlo loro, il mistero.  La natura, quasi sempre assente negli scatti di Bourdin, in queste foglie si posa e nasconde la verità di quella che sarà la sua futura poetica: è lo spazio, che tiene il segreto. Come il parco di Blow-Up di Michelangelo Antonioni. Sguardo e finzione si rincorrono fino a confondersi.

Geometria, struttura, concetto.
Tutto si contorce nell’indicibile.

Tutto si mantiene segreto in quella sottile finzione di perfezione. Un dolore, una violenza, una solitudine affogata in sigarette e rum.

Un amore finito. Un amore mancato. Un amore cercato. Un amore subito.

Sono le foglie, lì dentro, a tenere il segreto.

Chiudo la galleria. Da fuori si sentono piatti, forchette, chiacchiere.
Musica.
Spengo le luci. Il buio mantiene quel segreto.
E le foglie, a noi, lo svelano.

 

Scritto per MIFacciodiCultura – Artspecialday.com 

 

 

 

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