Ha inaugurato ieri – giovedì 21 settembre 2017 – alla Galleria Bonelli di Milano, la mostra personale di Giuseppe GonellaChasing Lights. L’esposizione sarà visitabile fino al 4 novembre 2017. Qui il mio pARTicolare dedicato alla sua opera I funamboli, olio su tela, 2017.

Siamo tutti così. Un po’ traballanti su fili di risposte, domande, questioni.
La luce e i colori ci avvolgono. Le emozioni sono travolgenti, non riusciamo a gestirle. Quelle positive forse ci fanno ancora più paura. Perché la felicità fa paura.

Bisogna sapersi prendere la responsabilità della felicità.

Essere felici davvero, vuol dire avere coraggio. E il coraggio implica camminare sul vuoto. Per un secondo. Anche solo per un secondo.

E la felicità fa paura perché quel vuoto lo rende più potente, più presente. Ti toglie le forze e in quel preciso istante, in quell’attimo acutissimo, senti di poter perdere tutto. I tuoi orari, le tue certezze, le tue isteriche sicurezze. Le tue abitudini, i tuoi amori conosciuti. Una pelle che conosci. Un profumo che conosci. Quel profumo che ti fa da casa. Fa nulla se è un profumo che non apprezzi più, che ti nausea. Fa nulla se è un profumo che senti non appartenerti più. Fa niente se in quel profumo non sai più riconoscerti, e lo specchio dei colori ti rimanda un’immagine di passato. Di te nel passato. Un’àncora a cui appigliarsi, ma che non è più reale. Non lo è, perché tu cambi. E cambiare vuol dire muoversi. E muoversi vuol dire sentire quella sensazione di vuoto.

Giuseppe Gonella, The funambulist (2017)

Avete mai guardato un bambino imparare a camminare? Su quel vuoto, come un funambolo, sembra giocarci. Sembra quasi appostarsi. Quel vuoto di paura diventa danza di possibilità. Ha un sorriso sornione, occhi grandi e luminosi, mani tese all’infinito, come se inseguisse qualcosa, come se vedesse qualcosa a noi sconosciuta.
Poi cade e piange.  
D’un tratto. Ci avete mai fatto caso, al suo volto? Al suo volto, in quell’istante?
Il suo pianto sembra arrivare da una caverna remota. È un pianto terribile ma per un solo motivo: l’attimo prima c’era quel sorriso sornione, quegli occhi aperti e come in adorazione di quell’attimo di vuoto. E allora il pianto sembra drammatico, potentissimo. Rimbomba tremendo.
E poi, come niente, in un attimo, sparisce.
E torna il silenzio e il suo sguardo sembra ricercare ancora, e ancora, quell’attimo di vuoto. È quello che desidera il bambino. Ecco, altrimenti non impareremmo mai a camminare. Impariamo a camminare perché spinti da quell’attimo di vuoto, da quella sensazione di instabilità, di paura, di mancanza di equilibrio. I bambini ci insegnano questo. Sono piccoli funamboli che corrono verso l’impossibile, alla ricerca di quello spazio di indefinito e di imprevedibile.

Noi adulti lo dimentichiamo. Pensiamo che stare fermi sia più sicuro. Ci concentriamo sulla sensazione di vuoto, su quell’attimo di vuoto e non riusciamo invece a pensare a quanto sarebbe bello il dopo. Quanta passione, quanti colori travolgenti, quanto vento, quanti profumi nuovi e quanta corsa imprevedibile potrebbero esserci dopo quel secondo di paura. Ci sarà, se saltiamo quel vuoto o se siamo disposti a camminare su un filo scosceso per un po’. Chiudiamo gli occhi, non sorridiamo, e teniamo le braccia attaccate al nostro corpo. Non tendiamo all’infinito. Tendiamo al piccolo, al miserabile, alle nostre sicurezze. Le abitudini comiche che ci caratterizzino, i nostri gesti ripetuti, i nostri luoghi conosciuti.

Ma la vita, se il vuoto non lo cerchi tu, ci pensa lei a proportelo. Quel vuoto.
Quella richiesta di responsabilità alla felicità.
Ed è bellissimo. Lo senti.
Ti prende le mani e ti dice “ama”.
Ti tocca la pelle, ti stringe le ossa.
Gioca con il tuo coraggio.

Ma tu rimani fermo. Lì.
Occhi chiusi, braccia attaccate, labbra serrate.

I bambini, invece, piccoli e coraggiosi funamboli.
Un sorriso sornione, occhi grandi e luminosi, mani tese all’infinito.
Chasing lights, inseguendo le luci.

Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com 

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