Ho guardato il video che ritrae, attraverso la vista di un drone, la distruzione di Gaza. Uno sguardo asettico, disumano, sorvola la distruzione dell’uomo. Lontananza di sguardo e vicinanza nella materia. Sembra che quello che rimane dello sguardo umano sia solo una visione distaccata. Ma lo sguardo dell’uomo non è, e non sarà mai così.

Kurt Schwitters (1887-1948). Artista tedesco degli anni Venti, artista proprio subito dopo la Prima Guerra Mondiale. Trascorse gran parte del  primo conflitto come disegnatore tecnico in una fabbrica poco distante da Hannover. Nel marzo 1917 l’estensione della coscrizione lo costrinse ad essere arruolato nel 73º Reggimento ed egli prestò servizio effettivo dal giugno dello stesso anno. Mi ritorna in mente una sua frase, terribile, se trasposta alla realtà, e non all’arte: “Si può distruggere un mondo con degli scopi e attraverso la conoscenza e la conformazione delle possibilità costruire un mondo nuovo con le macerie”.

Chissà cosa intendeva, Kurt Schwitters, in quegli anni. Anni in cui l’arte era impazzita. In cui l’arte si ribellava all’arte stessa, in cui le macerie dell’arte diventavano nuove possibilità di costruzione. Anni in cui, in realtà, l’arte non aveva un concetto. Voleva essere ironica, sradicarsi. Anni in cui ruote di biciclette, ferri da stiro, orinatoi, pezzi di carta, giornali. La realtà, insomma, diventava arte. I rifiuti, i detriti, creavano arte.

E la realtà, era assurda quanto l’arte stessa, che la rappresentava.

Alberto Burri (1915-1995), artista della seconda metà del Novecento, esempio di “Arte Povera”, la sua arte. Fu soldato in guerra, anche lui, ma durante il Secondo Conflitto Mondiale. Quando tornò dalla guerra, Alberto Burri decise di portare la realtà, anche quella assurda e terribile, sulle sue tele, che tele non erano, ma erano sacchi strappati, erano cretti bruciati. Colanti di lava e sangue. Garze di dolore a riempire vuoti di anime.

Cosa è stata l’arte in questi momenti? Penso che sia Kurt Schwitters che Alberto Burri fossero grandi poeti.

Avevano in mano macerie. Rifiuti. Distruzioni. Orrendi ricordi. O pezzi di carta trovati per strada. O cretti e una fiamma da far incontrare. Loro ricostruivano, con quello che avevano tra le mani o nel cuore, macerie, e con le macerie ristabilivano la loro realtà.

Kurt Schwitters, nella sua casa, creò una montagna.  Una montagna intera di oggetti e rifiuti che si estendeva in ogni stanza del suo appartamento, dal nome MerzBau. Nella sua casa. Per lui non era importante la conoscenza degli altri, della sua realtà. Della sua nuova, intima realtà, creata con quello che aveva intorno. Semplici macerie.

Burri e Schwitters ammettevano che alcune volte la realtà, quando si deve ricostruire, lo si fa dai resti. Amabili resti. Orribili resti.

Lo sguardo umano non è così lontano. Osserva l’umanità che continua a ricostruirsi.  E che continua a distruggersi.

Rifiuti. Distruzioni.Orrendi ricordi. O pezzi di carta trovati per strada. 

O cretti e una fiamma da far incontrare.

Scritto per MIFacciodiCultura – www.Artspecialday.com

Federica Maria Marrella

Classe 1986. PhD in Comunicazione e Nuove Tecnologie. Il mio lavoro di ricerca si concentra sull’Iconografia Femminile nella Fotografia di Moda Contemporanea. Storica dell’Arte, Educatrice Museale. Docente di Storia dell’Arte. Scrittrice. Curiosa osservatrice. Amante della Poesia e della Musica. Costruttrice attenta e costante di Piccoli Sogni.

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