Sole alla valle, sole alla collina

Per le campagne non c’è più nessuno.

Addio, addio. Amore. Io vado via. 

Amara terra mia.

Amara e bella

Domenico Modugno (Polignano a Mare 9 gennaio 1928 – Isola di Lampedusa 6 agosto 1994), Amara Terra Mia

Le campane suonano. Il matrimonio è avvenuto.

Le chiese della Puglia sono bianche e si affacciano sul mare.

 Riflettono violentemente luce e calore.

Al nord, mi sono dimenticata di questi colori così intensi.

Il giallo è giallo. Il blu è blu.

Il bianco, accecante. Riflette quella luce. Intensa.

Domenico Modugno prende in mano il microfono.

Il pubblico sparisce. Non vi è nessun altro. È un bell’uomo, Domenico Modugno. Sul palco prende la scena. Recita, balla, canta. Ha l’energia della rivalsa, dell’orgoglio di un uomo del sud, che ce l’ha fatta. La schiena eretta e il mento diritto di fronte a sé. Ma i suoi occhi contrastano con tutto il suo corpo. Gli occhi di Domenico Modugno mi hanno sempre raccontato un’altra storia. Ad ogni parola, pausa, nota, svirgolatura. Nota tenuta, nota abbandonata.

Gli occhi di Domenico Modugno hanno sempre cantato l’umiltà. La dolcezza. E un pizzico di tristezza.

Domenico Modugno ha in mano un microfono. Ma questa volta il suo estro da artista imprevedibile e focoso,  è quasi assopito. Canta a bassa voce. Un dialogo a due. Chissà con chi. Con la sua terra, forse.

Tiene gli occhi chiusi. Il suo abito elegante, il profumo che immagino. Profumo di pane e favole antiche. I baffi perfetti, il portamento eretto.  Qui un po’ crolla. Ma leggermente. Lo si nota di sottecchi, a poco a poco. L’artista qui, lascia spazio all’uomo.

Parole che sanno di nostalgia. Di vita. Di quei colori del Gargano che io ho ancora stampati nel petto. Il profumo delle mozzarelle, il mare che con il suo azzurro ti fa sentire solo apatica, nelle tue emozioni.

Il sud ti mette a confronto con la tua mediocrità. 

Lì tutto è caldo, autentico. Sfacciato. Melodrammatico. Caldo come il rosso dei pomodori sulle focacce calde. Bianco come quelle facciate di chiese antiche, e morbido come la burrata fresca. Il grigio colorato delle strade, il lungo mare. Così, è tutta la Puglia. Taranto e la sua luna. Bari e le sue contraddizioni. Vieste e quelle piccole case arroccate.

E i paesini. Con una sola gelateria. Ma che vale le mille presenti nelle grandi città.

Domenico Modugno, canta tutto questo. Ne canta la nostalgia, la leggera lontananza, la coscienza della perdita.  La sua arte è trascinante. Guardandolo e ascoltandolo, mi dimentico che è su un palco. Sembra un uomo vecchio, con la barba appena fatta, che si racconta allo specchio dei suoi ricordi.

E poi, un applauso esagerato, scrosciante, dirompente.

Come lui, in altri momenti.

Qui, è solo se stesso.

Mi ricordo a una lezione di canto il mio maestro mi disse che pochi artisti sono veri artisti. Mi disse: «Alcuni hanno la luce. Altri studiano tantissimo, si impegnano. Sono bravi. Ma alcuni, sono davvero speciali. Hanno la luce».

Come quelle campane che suonano. Come il bianco delle chiese di Trani, Bari, Vieste, Ostuni. Il bianco che riflette quella luce.

Come lui, Domenico Modugno.

Davanti allo specchio dei suoi ricordi.

Tra gli uliveti è nata già la luna 

Addio Addio Amore. Io vado via.

Amara terra mia. Amara e bella.

Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com

Federica Maria Marrella

Classe 1986. PhD in Comunicazione e Nuove Tecnologie. Il mio lavoro di ricerca si concentra sull’Iconografia Femminile nella Fotografia di Moda Contemporanea. Storica dell’Arte, Educatrice Museale. Docente di Storia dell’Arte. Scrittrice. Curiosa osservatrice. Amante della Poesia e della Musica. Costruttrice attenta e costante di Piccoli Sogni.

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