Un mio pARTicolare che racconta la Pietà Rondanini di Michelangelo Buonarroti, scritto nel periodo del famoso dibattito sul suo spostamento. 

“Statua principiata per un Cristo et un’altra figura di sopra,
attaccate insieme, sbozzate e non finite”.

Sin dalla mia prima visita alla Pietà Rondanini, da appena ragazzina, non capivo quella sua posizione, quella nicchia così antipatica e scostante. Allora m’immaginavo, come per giustificare la messa in scena, Michelangelo: lo immaginavo a ottantanove anni, fino a pochi giorni prima dalla sua morte, a scolpire in solitudine, questa meraviglia. Questa opera rinascimentale ma che ha già in sé tutta la scultura contemporanea. Opera creata da un uomo che realizzò per tutta la sua vita capolavori di potenza umana, e che invece, negli ultimi suoi anni, creò una Pietà così tardogotica, sobria, insicura, tremante e tormentata.

Ecco allora mi sentivo di accettare quella richiesta di solitudine.
Ma ora, nell’età adulta, credo che la solitudine immensa sia, per l’arte, solo un immensopeccato.

Qui, madre e figlio, “attaccati insieme”, si sgretolano nel marmo. Si trascinano. Si consumano di amore, compassione e pietà. Opera che spinge lo spettatore nel dolore, ma ugualmente lo eleva, verso e oltre i suoi due metri di altezza.

Questo mio omaggio vuole ricordare che la Pietà Rondanini non andrà a San Vittore. E neanche nel Duomo di Milano, come la giunta aveva deciso all’inizio dell’anno.
Non giudicherò. Voglio solo pensare quanto quest’umanità straripante avrebbe giovato a San Vittore. Quanta attenzione emotiva, sociale e istituzionale avrebbe attirato su quel luogo DIS- UMANO. L’arte avrebbe potuto avvicinare la società a una realtà non dignitosa. E avrebbe potuto poi dare una luce trascendente al capolavoro Michelangiolesco nel Duomo di Milano.

Non avverrà. I soldi che dovevano essere dedicati al viaggio della Pietà, saranno utilizzati per creare un polo Leonardesco al Castello.

Ironico: i due grandi geni che avrebbero dovuto affrontarsi a Palazzo Vecchio tra la Battaglia di Anghiari e la Battaglia di Cascina, nella realtà si sono scontrati qui, nel suolo milanese, per fondi da destinare.

Io, da parte mia, ripenso solo a quella ragazzina.  E alla speranza che la muoveva a voler l’arte come cura, come possibilità.

Come mediatore di emozioni e di senso sociale.

Forte e distinto.

Scritto per MIFaccioDiCultura – Artspecialday.com

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