“… e fra molte considerazioni avute in questo suggetto, vi è una femina che volendo FISSAMENTE guardare verso Cristo,

e per non potere gli occhi mortali sofferire la luce della Sua divinità, che con i raggi par che percuota quella figura,

si mette la mano dinanzi agl’occhi, tanto bene espressa che è una maraviglia.”

G. VASARI, 

Le Vite (1550)

Era l’ultimo giorno a Dresda, e decisi di farmi un regalo: volevo visitare, un’altra volta, la Galleria dei Dipinti antichi. Ma questa volta, da sola. Attraversai di nuovo il giardino dello Zwinger. Un sole caldissimo, un tramonto freddo. Entrai, tra quei corridoi quasi sacri, intorno a me tutta la pittura italiana del CInquecento e del Seicento.  Mi sedetti su un divano, enorme. Al mio fianco, un bambino sorrideva con il suo papà, guardando alcune loro fotografie. Il papà disse al figlio di guardare di fronte a lui. Lo feci anche io.

L’Adorazione dei Pastori o La Notte (1525 – 1530) del pittore Antonio Allegri, detto Il Correggio (1489 – 1534), era proprio di fronte a me. L’avevo già vista, la prima volta. Ma in quel nuovo istante, la guardai davvero.

In primo piano Maria con in braccio il piccolo Gesù, appena nato. Di fianco, un pastore zoppicante e instabile, enorme e muscoloso, si aggrappa al suo bastone. ll suo sguardo, bellissimo, di chi ha avuto una rivelazione sorprendente. La sua mano sul capo, come fosse imbarazzato di fronte a un re divino. Lui, si sente un po’ fuori posto, lì. Così traballante. Ma quello sguardo, bellissimo.

Al suo fianco una donna guarda verso di lui. Negli occhi la gioia e la sorpresa. Le labbra semiaperte. Come se stesse per dire a quel simpatico pastore: “Che meraviglia, hai visto? Un bambino come fa a creare tutta questa luce?”. In fondo, un altro pastore nel buio, che cerca di trattenere e placare il suo asino.

Di fronte al bambino e Maria, una donna. Un pARTicolare:

naturale e vera, vuole guardare fissamente quella luce, ma si ritrae coprendosi con le mani gli occhi, infastidita dalla sua potenza. Le sue labbra sono tese in una smorfia di fastidio. È un’istantanea, meglio della fotografia. Sicuramente dopo qualche secondo quella donna si sarà abituata alla luce, magari parlerà con la giovane al suo fianco. Oppure dirà a quel pastore così traballante che lui è meraviglioso, e che anche lei lo è, e che lo sono tutti perché figli, tutti, di quella luce.

Eppure, in questa istantanea, Correggio ritrae il ritrarsi. Il rifiuto. L’allontanarsi immediato dalla Bellezza.

In tutto questo movimento, l’unica donna serena e cosciente, l’unico luogo stabile, fermo,  è Maria, con il piccolo Gesù in braccio. Ecco. , la serenità. Tutto intorno, il movimento, i dubbi, le parole a mezz’aria, le mani tra i capelli, i balbettamenti, l’imbarazzo, l’incredulità, il ritrarsi, una smorfia, un pastore che trattiene un asino agitato. Eppure lì, la luce. Ma non solo lì.

In fondo, l’aurora che arriva. Il giorno sereno. La natura presente e cosciente. Mutevole e fedele.

Il bambino al mio fianco era ancora lì. Il suo papà, pure.

Lo avrei detto, a entrambi. Che la prima volta, in quel luogo, mi ero ritratta, dalla luce. Ora, invece, la stavo accogliendo. Stavo accogliendo, davvero, la Rivelazione di quell’istantanea. Di quell’Amore. Di quella solitaria serenità.

In fondo, ciò che conta, è avere il coraggio e il desiderio di guardare fissamente la bellezza.

Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com  

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