Un corpo forte. Fatto di carne e sensi.
Un vestito giallo.
Una nuca ricca di capelli dorati.
Dietro, una cornice, ad accompagnarla.
E un dettaglio. Di sconvolta e sincera verità.
Renato Guttuso (Bagheria, 26 dicembre 1911 – Roma, 18 gennaio 1987), fu pittore sociale, impegnato con il partito comunista. I suoi dipinti trasudano sangue, vene, corpi distesi. Vivono di un “colore morale”, di vento di poppa, di calore di Sicilia. Spade volte al cielo. Crocifissioni di tagli profondi, fucilazioni e racconti di dittature, imprecazioni dolorose. Punti di vista arditi e scoscesi. Visioni popolari, politiche, oltraggiose, coraggiose.
Renato Guttuso fu per un periodo amante di Marta Marzotto (Scandiano, 24 febbraio 1931 – Milano, 29 luglio 2016). Lei era sposata, lui pure. Ma il loro amore fu un incontro di parole, carne e arte. Una musa affascinante, reale. Una musa quotidiana, vicina, di un’intelligenza e ironia fuori dal comune.
La ritrasse in molte opere. Una, in pARTicolare, Melancholia Nova (1980).
Un’opera che racconta di questa donna in maniera sincera e sfacciata, in un momento di melanconia. Un sentimento iconograficamente generalmente più legato alla figura maschile che femminile.
Vediamo lei. Una donna vestita di giallo, seduta su un letto dal lenzuolo bianco, quasi lucente.
Ad un primo sguardo sembra che la testa sia girata verso il paesaggio dietro di lei. Sembra che quella mano, ruvida, maschile, grande, geometrica, tenga la nuca verso quei tetti di vedute di città che rimandano a Giorgio De Chirico, con colori e silenzi “sironiani”. Una città vuota, solitaria. Solo tetti spenti, che si stagliano su un cielo blu, quasi notturno. Quella mano, a stringere con forza i capelli d’oro.
Un tavolo, ritratto in una prospettiva impossibile e sconnessa, indecisa, traballante. Un cerchio, però, perfetto. Dietro quella nuca bellissima, una lavagna. Una cornice di quadro, ad accoglierla nel suo nero profondo. Riguardando attentamente, il volto della donna non è girato. Guarda verso il basso. L’atteggiamento è triste. Stanco. Pensieroso.
Il piede avvolto da una ballerina rossa. La posa delle due gambe è sciolta, quasi maschile, direi. La mano sinistra maschile, le gambe in posa maschile. L’altra mano, quella destra, abbandonata sul ginocchio, come se dovesse tenere tra le dita una sigaretta. L’atteggiamento di questa donna è totalmente contrastante con l’iconografia femminile del Novecento, che pretendeva donne nude, sdraiate su letti disfatti, e riprese da un punto di vista superiore, come se il pittore possedesse la donna. Pensiamo ai diversi nudi di Amedeo Modigliani, e ai disegni potenti e sconvolti di Egon Schiele.
Qui il dialogo tra pittore e donna è totalmente diverso.
Un dialogo silenzioso, rispettoso, paritario.
Lo sguardo del pittore la osserva in un momento intimo. Un istante di assenza di quella femminilità conosciuta. Delicata e timida. Qui la protagonista è sfacciatamente sensuale, per nulla posata e raffinata. Non nuda, ma vestita con un meraviglioso abito giallo, ad abbracciarla in questo istante di pensiero dolente, o solo silente.
Come a dirci che sola, vuole rimanere.
E lui con rispetto sola, l’ha lasciata.
Guardandola, però, con protezione e pacata leggerezza.
Un corpo forte. Fatto di carne e sensi.
Un vestito giallo.
Una nuca ricca di capelli dorati.
Dietro, una cornice, ad accompagnarla.
Le mani forti, le gambe possenti.
Il silenzio richiesto. La forza abbagliante.
La bellezza di essere una donna libera.
Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com
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