Mi tornano in mente una serie di ricordi su questo artista, che ho odiato inizialmente, e amato follemente, poi. Partiamo dall’inizio.

Durante i primi anni di università, era giunto il momento della lezione dedicata a Leonardo Da Vinci. Il professore doveva spiegarci, finalmente, La Gioconda. Non vedevo l’ora. L’opera più misteriosa, discussa, studiata, finalmente poteva avere una lettura storico- artistica e scientifica. Credevo ancora tanto nella didattica basilare, ai tempi. Insomma, mi sedetti con il mio solito quadernone e ascoltai. Il professore iniziò a declamare parole, parole, parole di critici, letterati, scrittori, poeti, filosofi. Parole che uomini, donne di tutti i tempi avevano impiegato per  poter dare una spiegazione al sorriso misterioso della Monnalisa. Finché ad un tratto, il professore, in un silenzio mistico, cambia diapositiva. Ed eccola.

La Gioconda.

Con i baffi.

E con sotto cinque lettere.

L. H. O. O. Q.

Il professore, mio amatissimo per arguzia e furbizia, iniziò a ridere.

Sapete cosa vogliono dire quelle lettere? Pronunciate in francese significano: Elle a chaud au cul… Vi traduco. Lei ha caldo al… sederino, diciamo. Per Marcel Duchamp, artista geniale del Ventesimo secolo,  La Gioconda, insomma… Sorride perché sta provando un certo piacere.

Strabuzzai gli occhi. Mi sentii indignata. Sentii offesa tutta la storia dell’arte. Come si fa a ridurre così il capolavoro assoluto di Leonardo?

Ragazzi, pensateci. Duchamp ha dato la vera, forse, possibile spiegazione. Quella donna è Leonardo stesso, che sorride compiaciuto, a sentire tutte le bizzarrie che nei secoli sono state dette sul suo capolavoro. È Leonardo che felice ed eccitato, è consapevole di aver creato un capolavoro che metterà in crisi e che incuriosirà ogni epoca.

Rimasi stizzita, ma quella lezione non se ne andò più dalla mia testa. Più tardi studiai Marcel Duchamp e rimasi affascinata dalla sua personalità, dall’ironia, dai suoi scritti, da quanto quell’uomo con l’arte parlò di società, creazione e quotidianità. E allora ho un ricordo ancora più bello. Io, di fronte ad un pezzo del Grande Vetro, la sua opera infinita che realizzò in più di trent’anni (1911-1934, tra pensieri, idee, creazione, realizzazione, opere e scritti) al Centre Pompidou di Parigi. Ecco. Qui, forse per la prima volta, il ricordo, non ha molte parole. Duchamp forse ne sarebbe felice. Ero immersa in quei personaggi senza testa, nella tela che lui aveva fatto diventare vetro, trasparenza, tela che permette anche all’uomo di diventare un’opera d’arte perché, aldilà del vetro, chi passa, si trasforma in protagonista in quella cornice.

Io, al Centre Pompidou, a Parigi, circondata da vetrate, immersa nella luce, al terzo piano. Fuori Parigi dall’alto. Io a osservare inebriata quel piccolo pezzo di vetro. Mi ricordo quel silenzio. Quell’Altrove. Anche Marcel Duchamp era riuscito a creare un’opera  misteriosa, che ha mosso cento anni di possibili spiegazioni e interpretazioni degli scritti che tra l’altro, lui ha lasciato.

Ma non mi interessava al momento.

In quel momento eravamo solo noi due.

Marcel, sei stato un artista irriverente, saccente, ma terribilmente affascinante e ironico. Un genio del Ventesimo secolo. Ti perdono per avermi parlato così di Leonardo. Alla fine tu, in realtà, hai ironizzato su chi razionalizza troppo qualcosa che razionale non è. L’arte. La bellezza. L’Altrove.

RIFERIMENTI: 

C. Subrizi, Introduzione a Duchamp, ed.  Laterza, 2008

AA. VV, I luoghi dell’Arte, Electa, 2003

Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com

Federica Maria Marrella

Classe 1986. PhD in Comunicazione e Nuove Tecnologie. Il mio lavoro di ricerca si concentra sull’Iconografia Femminile nella Fotografia di Moda Contemporanea. Storica dell’Arte, Educatrice Museale. Docente di Storia dell’Arte. Scrittrice. Curiosa osservatrice. Amante della Poesia e della Musica. Costruttrice attenta e costante di Piccoli Sogni.

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