“Così sfuggente, libera.
Sai come stringermi senza incatenare.
Non sei mai stata mia.
Eppure ti ritrovo in me, come un ricordo senza origine.”
Schegge, Ermal Meta
Ermal Meta l’ho notato a Sanremo Giovani, quest’anno.
Poi anche la sera del Festival. Con la sua Odio le favole mi ha incantato. Un testo appassionato e delicato. E, nel finale, sorprendente. Ho deciso di intervistarlo in occasione dell’uscita del suo primo album da solista, Umano. Ecco il mio pARTicolare.
Parlami di te. Quando hai iniziato con la musica, e perché? Insomma raccontami un po’ tutto il tuo “viaggio” fino adesso.
Perché ho iniziato con la musica non lo so. Io sono nato nella musica perché sono figlio di musicisti. Non ho mai pensato “ok adesso faccio il musicista”. Ci sono nato. E questo mi rende molto felice. Poi intorno ai quindici- sedici anni ho iniziato a suonare e ad avere quei normali “sogni di gloria”. Ho fondato la band La fame di Camilla. Insieme abbiamo girato e suonato tantissimo, fatto molti concerti. Abbiamo anche suonato con gli Aerosmith all’Heineken Jammin’ Festival! È stata una figata. Poi il gruppo si è sciolto. L’unica cosa però che sentivo di voler fare era di continuare a scrivere… E così ho fatto.
La tua attività come autore ho notato che è molto viva e creativa. Quale è secondo te il potere delle parole?
Il potere delle parole è immenso. Le parole danno forma al mondo. Pensa a come sarebbe stato tutto diverso senza “I have a dream” di Martin Luther King o senza “I have nothing to offer but blood, toil, tears, and sweat” di Winston Churchill. Insomma i famosi discorsi della storia sono fondamentali nella vita degli esseri umani. E i discorsi sono fatti di parole. E le parole sono fatte di pensieri. Senza le parole le idee non potrebbero prendere forma. Tutto parte dall’esigenza espressiva. Qualcuno diceva che “l’arte è incontinenza spirituale”.
Immagino sia così anche per la tua musica. Parti dalle parole o dalla musica quando scrivi?
Io parto dalla musica, perché penso che le parole siano già nascoste lì dentro. Devo essere solamente bravo a scoprirle.
Un po’ come Michelangelo quando affermava che l’opera d’arte fosse già presente nel marmo, e che il suo ruolo era quello di liberarla dalla materia sovrastante!
Sì, questo paragone io non mi azzarderei mai a farlo! (sorride) Però sì. Proprio così.
Cosa si prova a sentire le proprie parole, come autore, espresse e cantate da altri interpreti? Che sensazioni si provano?
In realtà è una cosa che mi piace. È un piacere quasi voyeristico sentire le tue cose cantate da qualcun altro! Inizialmente sembrava strano anche a me, ma poi la stranezza ha lasciato il posto allo stupore e poi al piacere.
C’è una collaborazione che ti ha segnato in maniera particolare? A parte con Patty Pravo, che dici sempre ti ha molto colpito.
Patty Pravo… Fantastica. Mi ha sorpreso tantissimo per la sua umiltà. È un elemento che accomuna i grandi. Io ho trovato sempre molto godimento in tutte le collaborazioni che ho fatto. Per motivazioni diverse, ma sono state sempre esperienze positive, grandi soddisfazioni. Con Marco Mengoni, Emma, Chiara, Renga, Annalisa… Insomma realmente con tutti.
E Sanremo 2016? Come ti sei trovato in questa kermesse? Come hai vissuto questa esperienza?
La kermesse è… una kermesse. Come un carrozzone! Ma è stato molto bello. Carlo Conti è stato molto attento ai giovani. Realmente grandioso. Il fatto di metterci in apertura e non in chiusura di serata è stato molto importante, perché ha tenuto la soglia dell’attenzione alta. Ed è stato molto positivo. La settimana lì è quella che è. Devi correre da una parte all’altra. Fisicamente è stancante. Ma dal punto di vista emotivo invece è una figata. Guarda, da quando sono tornato ho già scritto un nuovo pezzo!
Davvero? Fantastico. E come si intitola? Lo canterai tu?
Se la canterò io ancora non lo so. Il titolo ancora non c’è! Ma il pezzo è fatto.
È una ballata o un pezzo energico?
Energico, energico.
Parliamo di Umano, il tuo primo album da solista. L’hai prodotto da solo vero? E anche suonato da solo? È stato difficile?
Sì. È stato molto difficile far tutto da solo ma è stata una scelta di pancia. Sono stato ovviamente aiutato da bravissimi musicisti. Io so suonare la chitarra, il pianoforte e il basso, non tutti gli strumenti, quindi ad esempio la batteria l’ho fatta suonare da qualcun altro! Però ho cercato di fare tutto ciò che fosse possibile da solo.
In particolare vorrei parlare di Odio le Favole, il singolo portato a Sanremo. A me il finale di questa canzone spiazza! Non l’ho capito. Tutta la canzone parla di una storia d’amore finita male, ma senza rancore, con rispetto e affetto. Poi le ultime parole: «Mi hai strappato l’amore di bocca. Ma ogni tanto una stronza ci tocca.» Sembra il contrario di tutto il testo precedente. Illuminami!
Dunque, la canzone è una metafora, per dire che la vita è molto più interessante di qualsiasi favola. E che ti può sorprendere in molti modi diversi. Perché il futuro non è mai scritto. E non lo scrivi in un giorno. La chiusura della canzone è un modo di dissacrare tutto quello che ho detto in precedenza. Non volevo fare il finale da favola nella canzone.
E come è nata questa canzone? E il video? (Il video ha vinto anche il premio Soundies Award come miglior video dato dalla Lucana Film Commission).
L’idea del video è nata da un team di ragazzi che si chiama Budabo. La mia idea di fondo era quella di fare un video che fosse legato e importante quanto la canzone. il videoclip secondo me deve essere bello anche senza l’audio della canzone. La canzone e il video sono due forme d’arte che s’abbracciano, non una che sottostà all’altra. È molto bella secondo me l’idea dei passaggi della vita che si susseguono e mi è piaciuto molto osservare la realizzazione del video anche nelle parti dove non c’ero io. È stato emozionante. La canzone è nata questo agosto 2015. È nata di getto. Avevo in mente la melodia del ritornello da giorni in testa come un’ossessione. Allora ho pensato che dovevo assolutamente scriverci un pezzo altrimenti sarei impazzito, mi stava perforando il cervello! È stata una creazione molto istintiva, in un pomeriggio l’ho scritta.
Parliamo di un’altra canzone: Lettera a mio Padre. Un pezzo molto crudo e diretto. Quale è il tuo rapporto con la tua intimità e il racconto di te? Non ti intimidisce parlarne in una canzone, che arriva ancora di più a tutti di una poesia ad esempio, in maniera così “nuda”?
Il mio rapporto con la mia parte interiore è un rapporto diretto. Non mi faccio molti problemi, scrivo senza vergognarmi dei pensieri, senza vergognarmi della crudezza perché quello che conta veramente nell’arte è la verità. Non amo disperdermi dal punto di vista del pensiero. Se voglio dire una cosa, la dico. Non credo che il mistero della poesia debba celarsi in parole non dette, ma nel perché vengano usate determinate parole. Come diceva Uberto Saba, ogni realizzazione creativa deve avere avere al proprio interno un mistero. Io faccio mio questo pensiero, ma ritengo anche che questo mistero non debba essere segretato, ma deve essere davanti a tutti. Far chiedere dunque Perché la scelta è stata questa, ma non Cosa voleva dire.
Da storica dell’arte non posso non chiederti di parlarmi della copertina del tuo album. È bellissima. Richiama in un certo senso David Bowie e quel suo mondo altro. Il mondo delle stelle…
La copertina voleva essere la mia definizione di essere umano. Io credo che le persone siano contenitori di infinito. È un ossimoro: immagina un segmento che al proprio interno porta una retta. E questa immagine mi ha colpito. Ho cercato di trasferire questa idea a un artista fantastico che è Charlie Davoli e lui mi ha risposto con questo lavoro che è straordinario. Se guardi l’immagine, il corpo contiene delle galassie, il cielo, le stelle. Ma il tutto dentro una giacca. È questo il contrasto interessante. Poi c’è una montagna sulla faccia, perché noi nasciamo sulla e dalla Madre Terra, è qui che impariamo a parlare, a camminare, a piangere, a sorridere.
E la testa esplode pure… Come fosse infinito.
Perché il cuore e la testa rendono infinito l’essere umano.
In Umano due altre canzoni mi hanno colpito. Bionda, che parla più di un innamoramento, e Schegge. Entrambe parlano di sentimenti e sensazioni, in maniera e con soggetti diversi. Cosa è per te l’Amore?
Schegge è una canzone d’amore dedicata alla musica. “Ti ritrovo in me come un ricordo senza origine”. È quello che rappresenta per me la musica. Per me l’amore rappresenta l’incompletezza nell’assenza. Una cosa senza la quale non potresti viverci, ma con la quale potresti anche morirci. Tutto è amore. Per un progetto, per un figlio, per una donna, un amico, una sorella, una madre. È l’amore che muove il mondo. È l’amore che ci rende Umani. La vita senza amore non avrebbe uno scopo. L’amore come lo intendo io è qualcosa di più ampio e infinito. È l’amore per la vita.
… I prossimi progetti? Come ti senti adesso? Felice?
Prossimi progetti… Fare tanti concerti! Ci stiamo lavorando. Stiamo cercando di capire come fare per abbracciare e interessare più gente possibile. Sono molto felice. È stata una esigenza di questo ultimo anno quella di voler fare un disco. Mi ci sono buttato a capofitto.
Ripenso alle parole di Ermal. Alla sua dedizione alla musica, alla poesia. Ripenso alla sua diretta e sincera passione per la verità in ciò che si fa. Ripenso anche alle sue canzoni. Ad alcuni suoi testi e concetti. Così lineari e allo stesso tempo complessi. Alle sue parole, che io ho vissuto come consiglio, quando mi dice che bisogna essere liberi davvero in ciò che si esprime, senza paure e senza timidezze. Senza pensare a ciò che arriverà, perché se il pensiero viene da te, sincero e innamorato, l’ascolto o la lettura della tua creazione sarà ugualmente sincero e innamorato. E penso anche che, come dice lui, le cicatrici siano fatte per farci crescere le ali. Ermal Meta forse ci dice che solo nelle nostre imperfezioni, nei nostri graffi del tempo, siamo Umani.
A me piace pensarla così.
Scritto per MIFaccioDiCultura – Artspecialday.com
Schegge:
Il video di Odio le Favole:
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