La Biblioteca Federiciana è l’ultima sala del percorso alla Pinacoteca Ambrosiana.

Si è vissuto un viaggio nel tempo. Dalle opere del Quattrocento fino all’Ottocento, la collezione di questo museo è un percorso nelle emozioni dei secoli, nella religione fervente e nel silenzioso patetismo, nella sensualità erotica della raffigurazione femminile nel Seicento, nello sguardo sul popolo dei pittori romantici, nei ritratti rigorosi e puri di Francesco Hayez. Scendendo, si affronta poi l’Aula Leonardi, con Il Musico (1490) dipinto dal grande genio Leonardo Da Vinci. Intorno, tutte copie di artisti dedicate ai capolavori delle sue opere.

La Biblioteca Federiciana è lì a un passo.
Ora, è presente al posto della Canestra di Frutta del Caravaggio (1599 ca.), il San Girolamo Scrivente dello stesso autore (1605 – 1606). Una camminata in questa chiesa laica, a tre navate, dove le colonne a dividere lo spazio sono i disegni di Leonarda Da Vinci. Lì, sull’Altare dell’Arte, questa volta mi accoglie Il San Girolamo, opera realizzata dal Caravaggio nel 1605 – 1606. Prima del suo capolavoro sono esposti otto disegni, conservati in Ambrosiana, che studiano l’iconografia del Santo: Il San Girolamo Penitente, Il San Girolamo nel suo Studio, Il San Girolamo e la sua ultima comunione. Tutti temi trattati da grandi artisti come Albrecht Dürer, Giuseppe Nuvolone, il Guercino, Giulio Romano.
Per la prima volta di fronte ad un’opera mi blocco. Soprattutto a causa del confronto con le opere e disegni circostanti. Qualcosa non torna. Caravaggio ritrae il Santo in maniera del tutto nuova. Imprevista. Imprevista davvero, perché la riproduzione dell’opera non rende assolutamente l’incontro reale con la sua presenza.

Il San Girolamo è ritratto da solo. Uno sfondo nero. Un manto rosso, leggermente sfumato. La sua testa pelata. Un cranio vivente che fa da specchio ad un cranio di ossa. Precisamente al suo fianco.
Nel mezzo, a dividerli, un libro immenso occupa la parte principale del dipinto: il primo piano centrale. Sul libro si sdraia il braccio lunghissimo del Santo: di vene e nervi, carne e palpitazioni, tensione e concentrazione. Si nota addirittura la carne raggrinzita nel luogo in cui la pelle del braccio tocca e incontra il Libro Sacro. Quel Libro Sacro in cui San Girolamo intreccia le sue dita. Con un dito tiene il segno sulla pagina a cui forse deve poco dopo ritornare. Il pollice, la mano, il polso: tutto è teso e concentratissimo, si scorge il tendine stretto e nervoso, sporgente e violento, teso a mantenere quella posizione scomoda per reggere tra le mani le pagine sacre.

A destra, il rosso panneggio del mantello del Santo.
A sinistra, il bianco splendido e sporco di un panno.
Al centro, un tavolo semplicissimo. Spoglio.
Dietro: il nulla. 

Nessuno studiolo, nessuna chiesa, nessun paesaggio. Caravaggio decide di incorniciare il Santo solo nel suo corpo vecchio e saggio, cosciente e penitente. Abbracciarlo e farlo guardare da quel teschio da cui arriva la luce: “solo con la coscienza della morte si ha la vera e santa visione della vita.”
Su quel tavolo, tre sono i libri, come la Trinità: due chiusi e uno aperto, quel libro su cui sta scrivendo e studiando il protagonista. Quella mano tutta tesa a cercare l’inchiostro per la scrittura è di una poesia infinita. Le dita sono sporche. Le mani solcate da rughe.

Caravaggio, San Girolamo Scrivente, 1605 - 1606. Il pARTicolare. Galleria Borghese di Roma, ora alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano.

Caravaggio, San Girolamo Scrivente, 1605 – 1606. Il pARTicolare. Galleria Borghese di Roma, ora alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano 

La fronte corrugata.

Eccolo il pARTicolare.

Quell’elemento che dà il senso profondo del dipinto, ma che si comprende solo dopo. Un’atmosfera data da un dettaglio che si nota solo guardando realmente, intimamente, il nostro protagonista.
A sinistra, gli occhi del teschio, neri, profondi, terribili, guardano altri due occhi: gli occhi di San Girolamo. Tondi, spalancati, quasi in estasi. Terribile, il suo sguardo. Concentrato, solerte, vivo. Folle nel suo studio. Folle nella sua santità. Folle nella sua ricerca tutta umana di risposte.
Caravaggio non ha posto il San Girolamo in uno studio colmo di libri per farci comprendere la sua erudizione e coscienza, la sua ricerca e conoscenza. Tutti i libri li ha posti in quegli occhi. Tutte le domande sono inscritte in quello sguardo. Tutta la brama di verità e di sapere sono concentrati in quegli specchi di anima vivente. Non ha imbellito il dipinto con una chiesa per farci comprendere la sua fede: la sua fede è tutta nei suoi occhi. Non ha descritto pietre di penitenza e dolore: penitenza e dolore sono vivi nei suoi occhi.

Siamo nel 1605 – 1606.

Questa opera è uno spartiacque.

Nel 1606 Michelangelo Merisi detto il Caravaggio uccide un uomo. Per sbaglio, durante una rissa.

Da quell’anno le sue opere cambieranno. Questa perfezione formale di luci e ombre piano piano svanirà.

Si farà vivo il sangue, la paura, il tormento, il buio. Il colore più sfumato, il terrore più concreto.

Da quell’anno, Caravaggio, proprio con la conoscenza della morte, avrà più chiara la sua vita: di uomo, di penitente, di peccatore.

Di figlio di Dio.

 

Per Approfondimenti:

Il San Girolamo scrivente del Caravaggio sarà esposto alla Pinacoteca Ambrosiana fino al 19 Febbraio 2017. 

Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com 

 

 

 

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