Il mio pARTicolare qui dedicato a Jean-Auguste-Dominique Ingres, nato a Montauban il 29 agosto del 1780 e morto a Parigi il 14 gennaio 1867. 

Le opere, soprattutto se in apparenza perfette, non hanno mai avuto la mia totale condiscendenza alla sola bellezza. Mi sembra sempre che, tra le pieghe nascoste, vi sia un segreto da esprimere, un valore che si intreccia con la storia, il contesto, il ricordo. Talvolta, qualcosa che si prende gioco di una forma ripresa, di una iconografia vissuta, per rivelare un punto nuovo, una eleganza inaspettata o una storia inespressa. Non sempre vi è la rivelazione, ma lo sguardo è molto più potente del previsto. Parlo ora della Bagnante di Valpinçon (1808) di Jean-Auguste-Dominique Ingres, dipinto preso sempre d’esempio come oggetto di bellezza, espressione elegante e luminosa di donna, canto neoclassico e di voce bianca, inondato di bianca luce.

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J.-A.-D. Ingres, La bagnante di Valpinçon, 1808  

Una donna ci dà le spalle, e a sua volta, si volta verso la sua destra. Chiamata da qualcuno? Attratta da un elemento che prende la sua attenzione?
La nostra bagnante è ritratta perfettamente, con quel piede elegante in volo, quel dettaglio a terra che scopre cosa c’è oltre quella tenda: una piccola fontanella d’acqua, nella vasca dove la donna andrà a rilassarsi.
La donna dal turbante ritratto nei suoi dettagli più perfetti. La piega del tessuto, il colore bianco e rosato, L’intreccio di tela compiuto. Un profilo sbiadito, di cui si intravvede solo il piccolo e perfetto naso. E un orecchio perfetto, su cui si posa un ciuffo leggero di capelli.

Il letto, bianco. La tenda laterale, di un verde profondo. Il cuscino, la morbidezza del letto così tattile e quelle pieghe che riprendono il lembo di panneggio che ancora la donna tiene intorno al suo braccio sinistro. Elemento iconografico delle Veneri, sin dai dipinti di Tiziano fino a Poussin.

La sua mano, come in attesa di qualcosa, sdraiata sulle lenzuola del letto. La schiena scende lunga, bellissima.

Non vi sono altre parole per questa schiena, se non bellissima. E infinita.

Baciata dalla luce, morbida e rosa, un po’ curva, come stanca, affaticata. Come colta in un momento di abbandono. Non è in posa, la nostra protagonista. Anche se la posa riprende una iconografia tipica di studio di nudo, la posizione della nostra donna non è da posa di modella.

Questo è il pARTicolare. 

La donna è leggermente stanca. La schiena si inarca, come se la nostra protagonista avesse “sbuffato”, espirato un secondo prima.  La nostra bagnante è pensierosa.  Non è attraente, non è un corpo in esposizione. È chiusa in se stessa. Inspira ed espira. Prima di un momento di relax, prima di sparire dai nostri occhi, come un angelo di luce bianca. Come se, appoggiata su quella mano, aspettasse qualcosa, o qualcuno, dall’altra parte del letto, nascosto alla nostra conoscenza.

La bellezza non esposta. Ma nascosta, misteriosa.
Oltre la pelle di seta. Oltre il bianco panneggio del letto.
Oltre lo sguardo che non vediamo.

Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com

 

Federica Maria Marrella

Classe 1986. PhD in Comunicazione e Nuove Tecnologie. Il mio lavoro di ricerca si concentra sull’Iconografia Femminile nella Fotografia di Moda Contemporanea. Storica dell’Arte, Educatrice Museale. Docente di Storia dell’Arte. Scrittrice. Curiosa osservatrice. Amante della Poesia e della Musica. Costruttrice attenta e costante di Piccoli Sogni.

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