Conobbi l’arte di Robert Mapplethorpe (New York, 4 novembre 1946 – Boston, 9 marzo 1989) per la prima volta a Firenze. Alla Galleria dell’Accademia avevano realizzato una mostra fotografica del grande fotografo, nella sala a fianco dei prigioni Michelangioleschi e dell’etereo David. La mostra fu criticata. Ma io la trovai meravigliosa, e soprattutto pertinente.
Mi ricordo che vagavo in quelle sale buie e non riuscivo a non perdermi in quegli scatti cosi fisici e umani.
La forma, la linea. La potenza. Come Michelangelo sempre scolpiva, anche nella pittura, così Mapplethorpe scolpiva nella sua fotografia.
I tondi, i muscoli. Le mani. Le linee infinite. I nervi. I respiri trattenuti. Le costole. I tendini.
La bellezza e la ricerca della bellezza nella mente umana.
Lui ritrae tutto questo.
Ma ritrae anche la sessualità, l’amore, la pace. L’unione. Il desiderio. La veemenza. La potenza.
Quegli anni. Gli anni Settanta e Ottanta, anni di liberazione sessuale e omosessuale. Anni terribili dell’AIDS. Anni in cui è vissuto anche quel meraviglioso artista che era Tony Viramontes (vedi il mio pARTicolare: Michelangelo e Viramontes. Il risveglio del Senso)
Lo sguardo maschile sull’uomo in questi due artisti diventa così fisico e bellissimo. Un contrasto continuo tra desiderio e lontananza. Tra possesso e impossibilità.
Amo questo sguardo. Amo questa ricerca perfetta di Robert Mapplethorpe della forma, della finitezza. Del cerchio, dell’equilibrio. Della proporzione. Tutti rimandi alla filosofia Umanistica e Rinascimentale, allo spazio distante di Piero Della Francesca e al corpo possente e tormentato di Michelangelo Buonarroti. Ma Mapplethorpe si fa tramite anche di unione tra i contrari e i contrasti. Il suo abbraccio non è solo muscoli, è il volto desiderato del mondo. In cui l’unione è la forma stessa del desiderio.
Un bianco e nero eterno.
Nell’altra stanza, pensavo in quei momenti, i prigioni di Michelangelo forse tremavano.
Tremavano dal desiderio di levigarsi, di finirsi. Di diventare forma liscia e perfetta. Tremavano dal desiderio di liberarsi di quel marmo opprimente.
Per prendere vita. Per prendersi la vita.
In una fotografia.
Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com
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