“Queste principesse dagli abiti sgargianti e dagli sguardi antichi, hanno un lungo cammino da percorrere: devono prendere coscienza che questo mondo di terra e di acqua può essere migliore anche per loro”.  Beatrice Mancini

“There is only one way for the future, and this is to define women as strong and independent. This should be the responsibility of photographers today: to free women, and finally everyone, from the terror of youth and perfection”.  [“C’è solo una via per il futuro, ed è quella di definire le donne forti e indipendenti. Questa dovrebbe essere la responsabilità dei fotografi, oggi: liberare le donne, e finalmente tutti, dal terrore della giovinezza e della perfezione.”] Peter Lindbergh

Ho voluto iniziare questo pARTicolare con due citazioni che provengono dallo stesso mondo, con due accezioni e sfumature molto diverse. Beatrice Mancini è una fotografa, anche foto-reporter. L’esposizione in cui l’ho conosciuta ha il titolo Princess of Waterland, armonia di luce e fango e racconta, attraverso fotografie dai colori caldi e lucenti, la vita delle donne in Bangladesh. Beatrice Mancini ha ritratto donne in una società che le opprime, donne che passano dalla tutela del padre a quella del marito. Donne che non possono esprimere un’opinione, che vivono come un’ombra. Donne di vita vera, che vediamo così lontane da noi, ma che poi così lontane non sono.  

Dall’altra parte, ho citato Peter Lindbergh (Polonia, 23 Novembre 1944),  uno dei fotografi di moda più famosi e più interessati, in particolare, al volto femminile. Il volto, specchio di luce e verità anche dell’anima che cerca in tutti i modi di celarsi. Fotografo di moda, in un mondo glamour, fotografo della bellezza lontana, che pretende di essere eterna. Che poi, penso, è davveroeterna la bellezza, sono i canoni imposti che ci fanno credere svanisca.

Entrambi i fotografi, però, parlano di qualcosa di simile: sottolineano entrambi l’idea di gabbia. Le donne in Bangladesh si trovano nella gabbia fisica del loro uomo o padre. Di una società patriarcale che non le fa esprimere, donne “abusate, emarginate”, sempre nelle parole della Mancini. Lindbergh  racconta di una gabbia più ideale, meno concreta. La gabbia in cui sono costrette le donne della società “occidentale”. La gabbia del giudizio, la gabbia, afferma Lindbergh, del “desiderio spasmodico, del terrore (terror) della gioventù e della perfezione.”

Da est a ovest, su livelli diversi, la donna, agli occhi del fotografo, appare comunque soffocata, trattenuta da qualcosa, o qualcuno. Da un’idea, o da una persona. Da una società intera.

Questo accade sia negli occhi di una reporter, che ha vissuto profondamente la vita del luogo fotografato, che ha affiancato e conosciuto le donne che ha ritratto. E accade anche negli occhi di un fotografo che ritrae ilglamour, il desiderio della bellezza, della perfezione, nel mondo superficiale  della moda. E questo è un errore: descrivere la moda come mondo superficiale. Gabriel De Tarde e Gilles Lipovetsky sottolineano, de Tarde per primo, che la moda non è solo superficialità e glamour. E Lipovetsky ha costruito metà della sua carriera da sociologo sullo studio del lusso e della moda. Lui sottolinea, alquanto iroso, come gli intellettuali non si rendano conto dell’importanza di questo mondo, di quanto possa raccontare della società, della verità quotidiana.  Il glamour, non è mai stato così vicino, tattile. Vero.

Sono tragedie ben diverse. La tragedia personale delle donne in Bangladesh è ben più profonda della donna occidentale che rincorre l’eterna giovinezza. Ma la donna è in gabbia. Questo viene raccontato. E sta allo sguardo di chi le ritrae, o di chi semplicemente le guarda, a liberarle. 

Mi concentro, ora, su uno scatto meraviglioso di Beatrice Mancini.

Due donne sono ritratte dallo sguardo della fotografa. Una a sinistra, con un manto rosso, di età più giovane. E una a destra, manto giallo, di età più matura.

Il pARTicolare è il loro sguardo. La forza della fotografia è immediata e sconvolgente.

Lo sguardo della giovane donna è il tipico sguardo di noi giovane donne. Verso il basso, pensieroso, interrogativo, indeciso. Perplesso. Lo sguardo dell’età in cui ancora vi sono molti perché, molti quesiti da risolvere, molte terribili perplessità. In cui alcune realtà non vengono passivamente accettate, e se devono essere accettate, meritano almeno una domanda di verità, una questione di coscienza.

Lo sguardo della donna anziana, invece, è alto. Deciso, cosciente, quasi rassegnato ma con forza e dignità. Ed è lo sguardo che colpisce di più. Per la fierezza, per il cinico distacco e la cauta accettazione, con la coscienza di essere di fronte a una ingiustizia. Tutto questo si vede. È palpabile. Anche se non sapessimo che sono due donne del Bangladesh, i loro sguardi pARTicolari dicono tutto.

Strette nella gabbia dell’obiettivo, entrambe però guardano oltre. Oltre la cornice, oltre il nostro interrogativo e la nostra curiosità. Guardano aldilà. Desiderose comunque di una nuova realtà. Di un’altra possibilità. Nel loro pensiero, nelle loro menti ricche di domande e alcune acquisite risposte.
Un obiettivo che non riesce a trattenerle.
Una società che non potrà mai mettere in gabbia le loro anime.

Maturità e giovinezza.

Il doppio che si scontra, a volte si incontra.

Le generazioni che si uniscono e si contrastano.

Una società. Una gabbia. Un pensiero.

La verità, comunque, dentro di loro.

La libertà, fuori dalla cornice.

Per Approfondimenti:

  • Gabriel De Tarde, Le lois de l’imitation, 1890
  • Gilles Lipovetsky, L’impero dell’effimero, 1989
  • La mostra di Beatrice Mancini è a Mestre, visitabile fino al 19 aprile 2015, al Centro Culturale Candiani 

Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com 

 

 

 

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