È strano vedere come con il passare del tempo, si cambi. E come cambia anche il modo che abbiamo di interpretare la realtà intorno a noi. Una canzone, ad esempio.
Giudizi Universali di Samuele Bersani l’avevo sempre capita come una storia d’amore che finisce.
In effetti è così.
Ma non credo sia la cosa che fa più male al protagonista che la racconta.
Ciò che ferisce il cantautore è altro. Non è tanto la fine di un amore, di quella candela che si spegne e dell’aria dentro al serbatoio che sta terminando.
Non è neanche quella scena tanto da cinema, alla Mastroianni, della porta che si chiude e di qualcuno che ti lascia solo.
No.
La cosa che più fa arrabbiare il narratore è la falsità. La falsità della persona che gli è stata accanto. Ma una falsità forse inconsapevole. Più che altro la capacità di questa persona di sapere parlare, di creare situazioni da film, di dire frasi belle perfette affascinanti e fascinose – sì, sempre come Mastroianni. Il cinema anni Sessanta è l’ambientazione di questa canzone.
Perché lei, la sua lei, era proprio così: bellissima, patinata, perfetta. Con le parole giuste al momento giusto. Anche colta, con tutti quei libri che leggeva. Ma lì, sotto i piedi. Perché forse non le sono serviti a niente, se non a saper recitare bene una parte. Come nelle pubblicità.
Così razionale da non farlo sognare. Così costruita da sembrare finta.
E finta lo era davvero.
Era solo la copia di mille riassunti. Ripeteva le parole che voleva sentirsi dire lei, forse. Per piacersi. Per piacere di più. Per piacergli di più.
Ma l’amore non ha nulla a che fare con il patinato, con il cinema anni Sessanta, con scene egregiamente recitate, ci dice Samuele Bersani.
L’amore è fatica e costruzione. Imperfezioni e dolori condivisi. Lacrime e risate. Imperfezioni che diventano i punti cardine su cui costruire e costruirsi. È fantasia, libertà, sogno e carezza. Parole sbagliate, letti sfatti, discorsi a metà, nessuna promessa, poche parole. Poche parole.
Troppe, sono solo una falsità. Che è la verità degli altri.
La falsità è la verità degli altri. (O. W.)
Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza complicare il pane
ci si spalma sopra un bel giretto di parole vuote ma doppiate
Mangiati le bolle di sapone intorno al mondo e quando dormo taglia bene l’aquilone,
togli la ragione e lasciami sognare, lasciami sognare in pace
Liberi com’eravamo ieri, dei centimetri di libri sotto i piedi
per tirare la maniglia della porta e andare fuori
come Mastroianni anni fa,
come la voce guida la pubblicità
ci sono stati dei momenti intensi ma li ho persi già
Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza calpestare il cuore
ci si passa sopra almeno due o tre volte i piedi come sulle aiuole
Leviamo via il tappeto e poi mettiamoci dei pattini per scivolare meglio sopra l’odio
Torre di controllo, aiuto, sto finendo l’aria dentro al serbatoio
Potrei ma non voglio fidarmi di te
io non ti conosco e in fondo non c’è
in quello che dici qualcosa che pensi
sei solo la copia di mille riassunti
Leggera leggera si bagna la fiamma
rimane la cera e non ci sei più…
Vuoti di memoria, non c’è posto per tenere insieme tutte le puntate di una storia
piccolissimo particolare, ti ho perduto senza cattiveria
Mangiati le bolle di sapone intorno al mondo e quando dormo taglia bene l’aquilone
togli la ragione e lasciami sognare, lasciami sognare in pace
Libera com’ero stata ieri ho dei centimetri di cielo sotto ai piedi
adesso tiro la maniglia della porta e vado fuori
come Mastroianni anni fa, sono una nuvola, fra poco pioverà
e non c’è niente che mi sposta o vento che mi sposterà
Potrei ma non voglio fidarmi di te
io non ti conosco e in fondo non c’è
in quello che dici qualcosa che pensi
sei solo la copia di mille riassunti
Leggera leggera si bagna la fiamma rimane la cera e non ci sei più,
non ci sei più, non ci sei…
Liberamente ispirato a un dialogo immaginario tra Oscar Wilde (Dublino, 16 ottobre 1854 – Parigi, 30 novembre 1900) e Samuele Bersani (Giudizi Universali, 1997).
Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com
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