Molti pensano che la preghiera sia qualcosa di liscio. Di semplice, lineare. E soprattutto, qualcosa che si muova verso l’esterno. Qualcosa di nebbioso, inconsistente, trascendente. Quando penso alla preghiera invece io penso sia più un percorso verso l’interno. Verso linee e rughe, cicatrici e paure personali, intime, misteriose. Attraverso cascate scoscese e pendii pericolosi. Verso la verità che si cela in noi stessi.
La preghiera può essere un pianto. Una creazione. Un miracolo.
Una canzone.
Se ripenso all’arte… Ecco la preghiera sa essere un panneggio stracciato e intrecciato nel petto di una Santa, come nelle opere del Bernini. O può essere quel viaggio tremendo tra concavi e convessi, tra interno ed esterno, tra carne e mente nelle architetture del Borromini. O quella lingua di fuoco, quelle vene delicate e allo stesso tempo ieratiche, austere, della Pietà Rondanini di Michelangelo. O un urlo di dolore nelle parole sconnesse e riconnesse, in quei volti dolorosi, in quelle griglie a incatenare l’anima, nelle tele di Jean-Michel Basquiat.
Una preghiera è tante cose.
È la natura. L’essere umano stesso.
È terra e radici.
Talvolta è anche silenzio. E mistero.
Un profondo mistero.
E questa canzone ci racconta un mistero. La canzone di Leonard Cohen è un segreto nella sua ispirazione, nella sensualità, nell’umanità, nella spiritualità. Ecco, nonostante sia un’opera contemporanea, semplicissima, avvolgente, in realtà ha in sé i misteri delle preghiere di secoli, e di arti ridondanti e doloranti come l’arte barocca. È ascetica e appassionata, pura e contorta, lineare e arcana insieme.
Ti prende per mano, la canzone. E ti spiega addirittura come si sta formando, in questo istante, la sua melodia. La Quarta e la quinta. La minore scende, la maggiore sale… Una melodia che si crea con chi l’ascolta. Un percorso creativo insieme.
E lui. Ad occhi chiusi.
Ci racconta, più di ogni altra cosa, che la preghiera è un viaggio interno, scosceso, nascosto. Niente di etereo o esterno. La preghiera è intima. Un miracolo intimo.
Un’entità che ognuno di noi conosce e riconosce per sé, e che per questo sa essere universale.
Una preghiera intima, che vuole essere universale.
La preghiera dà all’uomo la possibilità di conoscere un signore che si incontra quasi mai.
Non il creatore, ma se stessi.
Now I’ve heard there was a secret chord
That David played, and it pleased the Lord
But you don’t really care for music, do you?
It goes like this
The fourth, the fifth
The minor fall, the major lift
The baffled king composing Hallelujah
Hallelujah.
Your faith was strong but you needed proof
You saw her bathing on the roof
Her beauty and the moonlight overthrew you
She tied you to a kitchen chair
She broke your throne, and she cut your hair
And from your lips she drew the Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah
You say I took the name in vain
I don’t even know the name
But if I did, well really, what’s it to you?
There’s a blaze of light
In every word
It doesn’t matter which you heard
Hallelujah, Hallelujah
The holy or the broken Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah.
I did my best, it wasn’t much
I couldn’t feel, so I tried to touch
I’ve told the truth, I didn’t come to fool you
And even though it all went wrong
I’ll stand before the Lord of Song
With nothing on my tongue but Hallelujah.
Hallelujah, Hallelujah
Hallelujah, Hallelujah
[Ho sentito di un accordo segreto
Suonato da David e gradito al Signore
Ma a te della musica non importa poi molto, vero?
Beh, fa così:
La quarta, la quinta
La minore scende, la maggiore sale
Il re perplesso compone l’Alleluja
Alleluja
La tua fede era salda ma avevi bisogno di una prova
La vedesti fare il bagno dalla terrazza
La sua bellezza e il chiaro di luna ti vinsero
Lei ti legò
Alla sedia della cucina
Ti spaccò il trono, ti rase i capelli
E dalle labbra ti strappò l’Alleluja
Dici che ho pronunciato il Nome invano
Ma se non lo conosco nemmeno il Nome
Ma anche se fosse, a te poi cosa importa?
C’è un’esplosione di luce
In ogni parola
E non importa se tu abbia sentito
La sacra o la disperata Alleluja
Alleluja
Ho fatto del mio meglio, non era granché
Non provavo nulla, così ho provato a toccare
Ho detto il vero, non sono venuto per prenderti in giro
E anche se
è andato tutto storto
Mi ergerò davanti al Dio della Canzone
E dalle mie labbra altro non uscirà che Alleluja
Alleluja…]
Traduzione italiana del testo originale di Leonard Cohen: © Yuri Garrett/Leonardcohen.it 2014
Ispirato a un dialogo immaginario tra William Motter Inge (Indipendence, 3 maggio 1913 – Los Angeles, 10 giugno 1973) e Leonard Norman Cohen (Montréal, 21 settembre 1934 – Los Angeles, 07 novembre 2016)
Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com
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