Una parete blu poggia su un pavimento verde.

Non vi è prospettiva, non vi è spazio.

Cinque donne, nude,  danzano tenendosi per mano.

Tutte, tranne due.

Due di loro non riescono a raggiungersi, si stirano l’una verso l’altra.

L’armonia sembra spezzata, l’incontro deve concretizzarsi, in quello spazio che non c’è.

In un tempo eterno.

Cerchio. Simbolo dell’infinito.

H. Matisse, La Danza, 1909

La Danza (prima versione, 1909, MOMA, New York), Henri Matisse

La danza per Matisse è “arte e vita”. Gioia ed energia. E originalità.

In quest’opera assistiamo a una semplificazione estrema che atterrì i suoi contemporanei. Matisse, pittore del colore, della prospettiva perduta, dei tavoli scoscesi.  Pittore Fauve, bestiale, perché alla ricerca del colore puro, dell’immaginazione. Semplificazione quasi infantile della realtà, una sua percezione riconoscibile e diretta.

Il colore è accostato in base alla fantasia, lontano dalla realtà. Quale realtà, poi? Il cielo è blu, il prato è verde… In una stanza si può vedere il mondo.

Cinque donne si rincorrono e si trattengono. Una danza raccontata al femminile. Movimenti un po’ scoordinati. Due mani che non si raggiungono.

Tutte e cinque, con il loro movimento creano un vuoto.

Un cerchio.

Dust Storm, Rajasthan © Steve McCurry

Una danza. Anche quella fotografia di Steve McCurry.

Sei donne si abbracciano strette tra loro.

Tutte, tranne due.

 In rosso, non vediamo il loro volto. Lo immaginiamo.

Immaginiamo il vento del deserto, la loro pelle aspra. Veli rossi che si riprendono. Fantasie  geometriche. Accessori che riempiono le loro braccia. Nessun dettaglio di pelle, non vi è nudità.

In secondo piano, la natura sovrasta con i suoi alberi sottili. Vacillanti.

In primo piano, due anfore.

Spesso gli artisti si firmavano così, quando creavano le grandi rivoluzioni. Pensiamo alla Déjeuner sur l’Herbe (1862-63) di Edouard Manet, e a quella perfetta e cangiante frutta in primo piano. La firma dell’autore, il suo pARTicolare di bravura.

Quell’anfora è il pARTicolare assoluto.

Ci racconta la terra, ci porta verso il futuro, crea prospettiva e mistero. Un buio compresso. Riprende quel mistero di volti nascosti, di vento pungente che soffia verso ovest. Sembra di sentirlo, risuonare in quel vuoto di terracotta.

Quel vuoto. Un cerchio.

Vi è prospettiva, vi è spazio.

Tra due donne, un vuoto.

L’incontro dovrà concretizzarsi, in quello spazio che non c’è.

In un tempo eterno.

Un cerchio. Simbolo dell’infinito.

Scritto per MIFaccioDiCultura – Artspecialday.com

 Per approfondimenti:

Steve McCurry. Le storie dietro le fotografie, 2014, Electa

Federica Maria Marrella

Classe 1986. PhD in Comunicazione e Nuove Tecnologie. Il mio lavoro di ricerca si concentra sull’Iconografia Femminile nella Fotografia di Moda Contemporanea. Storica dell’Arte, Educatrice Museale. Docente di Storia dell’Arte. Scrittrice. Curiosa osservatrice. Amante della Poesia e della Musica. Costruttrice attenta e costante di Piccoli Sogni.

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