Un artista spesso può essere un’illusione.
Nascondere attraverso un dettaglio, un segreto.
Descrivere una parte nascosta del sé. Anche in un’opera eterna. Guardata e riguardata.
Un sentimento nascosto, che ad un tratto diventa chiaro.
La Primavera (1482) di Sandro Botticelli è il dipinto che per eccellenza rappresenta e racconta la pittura italiana, nel mondo. Turisti, curiosi, appassionati, arrivano al Museo Degli Uffizi di Firenze e si siedono, si appostano di fronte al capolavoro Botticelliano. Perché sembra raccontare la gioia, la leggerezza, la bellezza, la serenità e la spensieratezza della cultura italiana.
Aby Warburg, studioso e storico dell’arte del Novecento, il più grande osservatore di opere d’arte. Lui, con la sua iconologia e iconografia, ha raccontato quest’opera, sottolineando prima di tutto un elemento: si pensa che negli anni del Rinascimento gli ornamenti vengano dimenticati in onore della filosofia, della cultura umanistica, dell’intelletto dell’uomo. Warburg invece nota che figure, panneggi bidimensionali e ornamenti quasi medievali sono sempre presenti in ogni opera realizzata nel periodo Rinascimentale. Afferma, lui, elemento dell’egocentrismo e del Narcisismo degli uomini di quell’epoca. Perché l’ornamento è fine a se stesso. Non utile alla Ragione e alla Filosofia del pensare e del creare del Rinascimento fiorentino. Per di più, Warburg, afferma che Botticelli era debole. Non era un artista indipendente, libero dalle decisioni altrui. Le sue opere sono strettamente legate, e forse richieste, dai pensatori dell’epoca, in primis Ficino e Poliziano, alla corte dei Medici. Arte quindi sottomessa al pensiero, arte non libera di esprimersi dalla libera ispirazione umana.
Ma osserviamo, ora, il dipinto. La storia è semplice.
In un Eden terrestre, da destra, il vento Zefiro si avvicina alla ninfa Clori. La fa sua, e lei diventa Flora (La Primavera), la donna con l’abito bianco e il ventre colmo di fiori. Andando avanti, leggendo l’opera da destra a sinistra, ecco Venere, in centro. In secondo piano. Poi Le tre Grazie che danzano gioiose, le ninfe e l’ornamento di cui parla Warburg. Panneggi svolazzanti che rimandano ai sarcofagi romani e anche alla pittura bidimensionale medievale. In alto, Cupido, sta per scagliare la freccia verso una delle Grazie. Per farle gioiosamente innamorare. Mercurio, a sinistra, divinità della Comunicazione, allontana con un gesto deciso le nuvole, che vogliono disturbare quella quiete meravigliosa, quella gioia estrema di beltà. Quel Paradiso in terra.
Un elemento però, non torna. Un pARTicolare che sconvolge. In questo Eden, in questa gioia fantastica, Lei, Venere, il centro del dipinto, la donna che si trova al centro dei nostri sguardi, ma lì, in secondo piano, Lei è triste. Molto triste, pensierosa. Come in attesa. La mano tesa e stretta sul panneggio. Come presa da un’agitazione interiore e nascosta.
Botticelli in questo pARTicolare prelude alla sua pittura successiva. Visto come pittore leggero, sottile, elegante e sereno, Botticelli diventerà in realtà un pittore sconvolto, dolorante e deluso dalla vita, dalla religione. Negli anni delle funeste ire del Savonarola, e soprattutto il dolore e la confusione che ne provocò la morte, nel 1498. Botticelli sarà lo stesso pittore che realizzerà uno dei Compianti (1495-1500 circa) più drammatici di ogni tempo, un dipinto già pre- manierista. Proprio negli anni della morte del frate.
Una gioia, quindi, finta. Quelle nuvole non se ne andranno. Nuvole già presenti nell’artista stesso.
E già presenti negli occhi, al centro della nostra Primavera.
Un pARTicolare, che fa la differenza.
Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com
Lascia un commento...