L’Amore ai tempi del colera è la mia seconda scoperta di Gabriel Garcia Marquez (Aracataca, 6 marzo 1927 – Città del Messico, 17 aprile 2014). Prima, di lui, avevo letto una raccolta di racconti. Mi colpì subito il suo modo di scrivere. Poche virgole, pochi punti.
Poche pause.
Descrizioni che si rincorrono, una lingua leggera e delicata che si attorciglia nel cuore e nelle viscere. Le parole più terribili dette con ironia. Il dolore che diventa profumo di rosa, il ricordo che si confonde con il mare e l’orizzonte. Personaggi strani e stralunati che si incontrano in una vita, in mille vite. Questo accade anche in questo capolavoro, scritto dall’autore colombiano nel 1985.
La storia può essere riassunta così: un uomo (Florentino Ariza) si innamora di una donna (Fermina Daza). Lei si sposa con un altro (Il dottor Juvenal Urbino). Ma lui l’aspetterà per “cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese”. In realtà il racconto è molto più complesso. Gabriel Garcia Marquez ha un talento meraviglioso, che non tanto spesso ho trovato in uno scrittore: lui racconta gli uomini. Questo dovrebbero cercare di farlo tutti. Ma Marquez lo fa davvero. Racconta le nevrosi, le fissazioni, le debolezze, la quotidianità, le timidezze, le paure. Le idee bigotte, di ogni essere umano. E lo fa, questo è il meraviglioso, con leggerezza.
Il pARTicolare in questo libro non è stato difficile trovarlo. Ho solo dovuto pazientare fino alla fine.
Il racconto descrive perfettamente ogni personaggio. Soprattutto Florentino Ariza e il dottor Urbino. Fermina, invece, rimane sullo sfondo. In tutte le pagine viene descritta dagli occhi di un altro. Viene raccontata in piccoli momenti, in decisioni salienti della sua vita. Ma per tutto il tempo, rimane nel lettore una curiosità non appagata verso questa donna. Mentre conosciamo ogni amore carnale di Florentino Ariza, che certo aspetta la sua donna dei sogni, ma non si evita certo mille e mille amori, nei suoi anni. Raccolti nei bus, per le strade, nelle case nascoste, tra i cuori di vedove solitarie e irrequiete. Florentino lo vediamo crescere, e lo plasmiamo sotto le nostre mani, con le parole dell’autore. Tutti i suoi anni corrono di fronte a noi, dalla sua adolescenza, alla sua vecchiaia. Urbino, il medico marito de Fermina, anche lui, è un uomo modellato a tutto tondo dallo scrittore. Nelle sue piccole frivolezze, nelle sue grandi scoperte, nella sua vita coniugale seria e scandita dai tempi dei pasti.
Fermina no, viene solo sfiorata dalle parole dell’autore.
Ero convinta di questo, prima di arrivare all’ultima parte del libro.
Non dirò il finale, ma ciò che accade è disarmante. Fermina la conosciamo, come la conoscerà davvero Florentino, solo alla fine. Solo nel suo viaggio finale. Nei suoi anni da donna anziana. Nella sua crociera d’amore.
Fermina non è più “il fantasma in una casa che non è la sua”. Fermina inizia ad appropriarsi di se stessa. Inizia ad avere mare all’orecchio. Prova dolore. Conosce il sesso e la sua pelle raggrinzita. Conosce l’amore. Senza dircelo. Ma lo capiamo. Fermina fuma quattro sigarette una dopo l’altra. Patisce in silenzio. Il suo fuoco adolescenziale è ancora intatto e rafforzato. Fermina, insomma, la conosciamo grazie al fatto che si riconosce INNAMORATA. A oltre settant’anni.
Ma l’amore non ha età. Marquez racconta un amore normale e sincero. Tra due innamorati di una vita. Ma non più un amore ideale. Al contrario, un amore concreto e reale. Questo accade.
Due anime che si sono conosciute tramite parole e lettere, conoscono la loro carnalità. E così innamorati di questa verità, decideranno di non scendere più, da quella nave.
Per quanto tempo vi rimarranno?
Semplice, la risposta.
Per tutta la vita.
Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com
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