Ci sono esperienze che, per diverse ragioni, entrano nel tuo cuore e nella tua mente con una velocità e una forza difficili da descrivere.

Il 7 Settembre 2016 ho partecipato ad una Conferenza alla Fabbrica Orobia di Milano, dove è stata organizzata la mostra dedicata ad Annie Leibovitz, Women: New Portraits. A questo incontro ho partecipato nelle vesti di educatrice museale, con il mio capo e le mie colleghe. Ho già scritto un pARTicolare a riguardo, ma qui vi racconterò cosa è accaduto dopo quella conferenza e quel meraviglioso momento in cui ho incontrato una delle più grandi fotografe contemporanee. L’evento è stato organizzato e gestito da UBS, e noi educatrici museali di ADMaiora ci siamo occupate dei workshop gratuiti per le famiglie, workshop che si sono tenuti nei week-end tra settembre e inizio ottobre. La mostra, infatti, ha chiuso il 2 ottobre 2016. Io personalmente vi ho lavorato durante tre mattine di settembre.

Il laboratorio si è così svolto: nella prima parte ogni famiglia creava un collage di immagini su un foglio bianco, un collage che le rappresentasse in maniera realistica o immaginaria; nella seconda parte dell’attività ogni famiglia diventava invece protagonista  in carne ed ossa di  un servizio fotografico, volto a creare un loro ritratto. Un ritratto in movimento, fantasioso, un po’ folle, e uno, invece, più tradizionale. Tra il collage e lo shooting fotografico ho spesso accompagnato gli ospiti ad osservare una galleria iconografica di ritratti di famiglie, di ogni colore, genere, tempo. Ed è stato straordinario notare con quanta naturalezza e amore si siano accolte diverse e disparate immagini di diverse e disparate famiglie: due papà, due mamme, famiglie adottive, interculturali, multiculturali. Famiglie dei cartoni animati, della fantasia, della televisione e di tempi lontani, lontanissimi. Tutte ritratte in uno scatto, in un istante, e per questo rese immortali.

Mi ha stupito molto anche, durante il set fotografico, vedere come i papà, le mamme, le nonne, i bambini, anche i più timidi e restii, alla fine si scioglievano. Si divertivano e si immedesimavano nelle storie che la fotografa creava intorno a loro, con la fantasia e con l’aiuto di alcuni oggetti che loro stessi potevano scegliere. Perché un oggetto ci rappresenta, come le parole quando possiamo raccontarci. Una fotografia, invece, è muta, e allora noi, con il nostro corpo, con oggetti e luoghi dobbiamo potere e sapere raccontare di noi. In silenzio.

Un percorso di sincerità, di apertura, di onestà. Perché davanti a un obiettivo sei come nudo, riveli chi sei. Le tue timidezze, la tua ironia, le tue mille questioni. E accompagnare molte famiglie in questo percorso per me è stato un onore. Come lo è stato vedere i bambini che si emozionavano davanti ai miei racconti di immagini di famiglie di ogni dove, di ogni cultura e tradizione. Anche quando attraverso l’iconografia di un’immagine ho cercato di spiegare quanto, anche senza una parola, una foto può raccontare e svelare di noi stessi.

Dopo il primo laboratorio ho anche realizzato il mio servizio fotografico per questo sito con una fotografa e amica speciale: Chiara Del Sordo. E da accompagnatrice su un set, ne sono diventata soggetto. Un’esperienza nuova e reale. Diretta e concreta. La Fabbrica Orobia è l’esempio di come grunge, bellezza, sorpresa, natura, antico e contemporaneo possano perfettamente coesistere. E io ho cercato di destreggiarmi tra i suoi muri scrostati, i suoi sassi grigi, il suo verde acceso, le sue porte di legno antico e il suo rame cangiante.
Un’esperienza forte, insomma.
E ogni famiglia la porto nel cuore. Di ogni tipo e colore. Perché qui ho toccato con mano quanto famiglia voglia dire prima di tutto amore, comprensione. E onestà di mente e cuore.

In copertina a questo articolo una splendida foto che mi ha scattato Chiara, di fronte alla mostra di Annie Leibovitz. Accanto a me un bambino attento, appassionato e incantevole.

Alla prossima! 🙂

Fede

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