Il 22 Marzo ha inaugurato a Milano la Sesta edizione di Ri – definire il Gioiello.
Dal 22 al 28 marzo 2017 Ridefinire il Gioiello è stato ospite allo Spazio Seicentro di Milano in via Savona 99. In quell’evento, in cui ho presenziato come redattrice di ArtSpecialDay, sono stati presentati 41 gioielli inediti, progettati da artisti italiani e stranieri. Un evento che ha ricevuto il patrocinio del Municipio 6 del Comune di Milano e del Comune di Casalmaggiore.
Ho proclamato il mio gioiello vincitore: Zattera di Beatrice de Angelis. Questo gioiello ora è esposto alla Galleria Rossini di Milano, fino al 29 aprile 2017.
Qui il mio pARTicolare.
BEATRICE DE ANGELIS, ZATTERA.
ZATTERA è potente per i suoi materiali rinati e trasformati, per la sua instabile precarietà ma anche per la sua decisa forza di sorreggersi. Apprezzo l’accostamento dei colori dati dai diversi materiali, apprezzo il senso che dà la collana: quel muoversi costante, quel “cullare” che sanno darti solo il mare. E la musica.
Perché la musica, il jazz, soprattutto, musica raccontata in Novecento di Baricco (1994), fa dell’imprevedibilità, esperienza. Dell’insicurezza un valore. Della precarietà potenza e coscienza. Mi piace anche l’introduzione scritta dall’artista. Diretta, essenziale, concisa.
Sul collo Zattera non solo si posa, ma si muove, mi sembra sensuale sulla pelle e anche da toccare. Un gioiello da toccare che racconta una storia di decisioni e di rinascita.
Sembrano tasti insicuri ma precisi di un pianoforte, le lettere materiche di Zattera. Dove l’infinito è presente nel finito dei tasti e della possibilità di creazione.
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Zattera è una sensazione, non “solo” un gioiello. In essa c’è tutto il pensiero del monologo teatrale di Alessandro Baricco, Novecento (1994). Un libro che racconta la paura di vivere, ma anche il coraggio di vivere in base alle proprie esigenze, scelte, in base al proprio istinto interiore.
Sono tanti i momenti speciali in quel libro, ma è essenzialmente uno quello che mi tengo sempre nel cuore. Il momento in cui Novecento pensa e decide, proprio come quando un quadro crolla da un momento all’altro – ed è strano perché quel quadro è sempre stato appeso tranquillamente, a modo suo, sereno, eppure tutto ad un tratto, come racconta lo scrittore, FRAN… Cade e crolla senza remore e senza preavviso – ecco in quel modo Novecento da un momento all’altro, dopo essere nato e vissuto per anni su una nave nel mare, decide: voglio vedere il mondo. E voglio vedere il mare dal mondo.
Ma quando scende, in quell’istante lui guarda il mondo e ha PAURA.
E quello che amo di Novecento è che ha il coraggio di raccontarla quella paura. Lo dice. Dice che per lui c’è troppa vita, troppa possibilità in questo mondo. Troppe donne da amare, come si fa a sceglierne una? Come?
Troppa vita. Anche i tasti di un pianoforte creano musica infinita, ma i tasti sono finiti. Hanno un inizio e una fine. E allora questo da un respiro alla possibilità di scegliere, di fermarsi, di rilassarsi.
Quella vita, troppa, troppo bella, troppo piena. Quella vita no. Non fa per lui. Vuole tornare sulla sua nave e vivere a modo suo. In quella vita che sa gestire, che conosce, che sa capire. Non è un atto di paura o codardia. Novecento è semplicemente sincero con se stesso. Conosce il suo talento, conosce la sua capacità di amare e di viaggiare in ogni parte del mondo seduto sul quel pianoforte, creando la musica che Dio balla quando nessuno lo guarda. In quella musica infinita di tasti finiti lui si specchia, si rivede, si riconosce.
Perché accettare e vivere una vita solo perché per gli altri quella vita è più “normale”? Chi l’ha deciso? Cosa è normale per gli altri? Cosa e chi sono gli altri?
Prendersi una laurea, trovare un lavoro a tempo indeterminato, sposarsi, fare figli. Tutto questo è normale. Come una lista della spesa da spuntare quando ci sentiamo persi nel nulla. Allora si spunta per rassicurarci. Una vita normale e un percorso normale.
Ma dimentichiamo spesso quel FRAN. Quando qualcosa cambia, quando qualcuno non ci ama più, quando ci sentiamo vecchi tutto ad un tratto. Tutto sta nel coraggio di vederci per quello che siamo e di riconoscerci.
Zattera è tutto questo: assembla diversi materiali, si staglia tra il liscio e il ruvido, senza una tecnica chiara senza una precisa destinazione. Un gioiello può essere racconto intimo di verità, può essere oggetto di percezione della vita, può raccontare una cerimonia dell’esistere, al di là di ciò che è accettabile agli occhi degli altri.
Un’altra cosa.
Novecento suonava il Jazz. La musica su cui Dio balla, quando nessuno lo vede. Ma il Jazz non è solo improvvisazione, come molti pensano. O meglio, è una improvvisazione calibrata, che segue precise regole musicali e per questo matematiche. Non è la musica atonale e senza regole del Novecento (il secolo, intendo). I musicisti di una band jazz improvvisano, ma guardandosi sanno già dove andranno a creare la loro melodia. Il Jazz è una musica improvvisata nelle regole, libera nella infinitezza di quei tasti che hanno un inizio e una fine. Zattera racconta questo. Zattera racconta il Jazz. Un oscillare continuo in una vita di FRAN senza sosta. Di imprevedibilità, di insicurezze. Ma di bellezza e di piccole regole calibrate.
E di coscienza.
E di accettazione.
Guardare se stessi, accettarsi, tornare indietro quando si è fatto quel passo di troppo ma si è capito che no. Non fa per noi.
Accettare la nostra essenza che è fisica e cosciente in un mondo imprevedibile, e costruire i nostri tasti finiti.
I nostri tasti dell’Anima.
Che danza, quando Dio non la vede.
Per Approfondimenti:
Il progetto artistico di Beatrice De Angelis: Artekuthuma
Scritto per MIfacciodiCultura – Artspecialday.com
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