Ah, l’attesa.
Maledetta.
Lei, sa essere così precisa. Perfetta. Controllata.
Il tempo si dilata. In orizzontale. In verticale. Nel profondo.
Quelle linee che sembrano infinite.
Quelle linee del tavolo. Verso di lei. Verso quel muro. Che la chiude. La soffoca.
La allontana dalla realtà.
Carrie Mae Weems, fotografa e artista americana, nel suo lavoro “The kitchen table series” del 1990, ritrae una vita di famiglia intorno a un tavolo.
La fotografa con la sua arte ha indagato a fondo il ruolo delle tradizioni, il senso della famiglia, i rapporti tra donna e uomo, uomo e donna, donna e figli, uomo e figli. Tra donne e donne. I protagonisti delle sue fotografie sono africani o afro americani come lei. L’artista tocca i problemi del genere, del sesso, del razzismo, ma qui, i temi intimi, sono assolutamente universali.
Il silenzio. Silenzio che opprime. Qui.
Precisione prospettica e geometrica. Il tavolo con le sue venature verticali. La porta con le sue linee e rettangoli. Il posacenere orizzontale. La bottiglia verticale. Il muro bianco. Tutto preciso, perfetto, incastrato. Bianco e luce. Lei, invece, come il telefono. Nera lei, nero lui. Ventre morbido di emozioni lei. Donna. Dalle gambe e dalle ginocchia morbide. La testa reclinata. Lui, ventre di segreti e attese.
Tonda. Lei è diventata l’attesa stessa.
Attesa, che sa essere così precisa, così dannatamente precisa. Una bottiglia, un bicchiere sulla sinistra. Sulla destra un posacenere. Dentro una sigaretta, neanche finita. Dietro, un pacchetto appena iniziato.
Il pARTicolare è il contrasto. Non solo tra i colori, ma tra le forme. Quel ventre di emozioni e di vita. In una stanza bianca, asettica, geometrica.
Solitudine. Silenzio. Dilemma.
Ecco cosa sentiamo.
Che se smettessimo di guardarla, il telefono suonerebbe.
E siamo sicuri, che suonerà.
Scritto per MIFaccioDiCultura – Artspecialday.com
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