In un attimo prende il cellulare. Senza spiegare.
La sua posizione eretta. I gomiti appoggiati sul tavolo. Prende anche quel pennino che le persone serie usano per scrivere sullo schermo. Apre una pagina di appunti. Traccia una lunga linea: ———— In mezzo segna degli anni.
– Devo raccontarti bene la storia della Turchia. Ci sono delle tappe fondamentali. Devo scriverle.
Scrive malissimo. Ma la storia tutto ad un tratto diventa chiara e benedetta. Dal 1930. Fino ad un certo punto.
– Qui, nel 2013, c’è stata una rivoluzione pazzesca. In piazza, tutti insieme. I giovani turchi. Sai perché? Per un parco. Per un parco! Ma è stata solo… come posso dire…
– La goccia che ha fatto traboccare il vaso, Erdogan.
E tutto mi torna in mente. 2013, mi viene chiesto di scrivere un articolo sulla Turchia. Io avevo paura, non avevo mai parlato di un fatto politico. Allora provai a parlare di politica con i sentimenti. Mi ricordo benissimo quel pezzo. 2013. La rivolta dei giovani turchi. Sono passati due anni, a me sembra ieri.
– Sono passati due anni, Federica. A me sembra ieri. – lo dice quasi avesse ascoltato i miei pensieri.…
– Erdogan. Mi ricordo! Ne ho scritto! Sai è un po’ strano per me parlare di politica mi ricordo che… Erdogan. Che hai?
I suoi occhi, per la prima volta in due settimane, si tingono di un colore nuovo. Non c’è più quella leggerezza adolescenziale e genuina. Non c’è più quel sorriso stampato e quasi assente. C’è una risata piena. Gli occhi esplodono di gioia e il verde diventa più verde. Lo sguardo più vivo. Le labbra più intense. Le mani, il corpo si muovono più velocemente e senza quella compostezza a cui mi ha abituata.
– Io, Federica, ero lì. In quella piazza. Tra polizia e manifestanti. Tra i terroristi, la sinistra radicale e i conservatori. Io ero lì.
Allora penso a come la vita sia strana, a volte. Io ero in Italia e avevo paura di scrivere di una realtà che un ragazzo di 18 anni stava combattendo con le sue ossa. In piazza.
– Ad un tratto arrivarono i poliziotti e ci spararono addosso uno spray dolorosissimo per gli occhi. E che ti può uccidere. Un gas. Ma eravamo vicino ad un hotel. Io pensai “Devo dare gli esami tra due settimane. Cosa penseranno di me i miei genitori? Cosa?“. Questi uomini ci salvarono portandoci nell’hotel, ci curarono. Alcuni medici aiutarono noi manifestanti.
I primi tre giorni sono stati bellissimi. Eravamo semplici persone che combattevano per una idea. Per un ideale. Era bellissimo. I giorni dopo arrivarono gli estremisti, i socialisti, i radicali comunisti. E portarono le loro cause in una causa che era la nostra. E la nostra era pacifica, la loro no. Fui molto deluso. Perché poi i media raccontarono che eravamo tutti così. Ci descrivevano come violenti manifestanti. Tutti. C’era un gruppo estremista, vero. Ma noi no. Noi volevamo protestare pacificamente. Ti faccio vedere le foto. Qui, vedi? Questa era la piazza. Questo il mio migliore amico. Questa è la polizia che si allontana. Questo il fuoco. Ora non lo rifarei. Da quel momento è stato tutto solo peggio, e sono molto deluso per cosa è accaduto. Per come una manifestazione civile, eravamo tutti giovani, alcuni giovanissimi, possa diventare mezzo mediatico sia per i conservatori che per i radicali di sinistra. È stato tutto molto una delusione. Ci dipinsero come mostri, e volevamo solo essere liberi ed esprimere il nostro dissenso.
Riprende in mano il telefono. Con quel pennino che non sopporto cancella tutto il disegno.
– Lo volevo Erdogan. Perché l’hai cancellato.
– Te lo scrivo ancora, senza problemi.
Arriva la cameriera. Dice che il tavolo da quell’ora è riservato. Sono passate due ore. Due ore che ascolto la storia della Turchia. Due ore per un solo caffè espresso.
Lui torna normale. Riprende la sua posa impostata. Il suo sorriso leggero e ingenuo. Per un solo attimo ancora quel lampo nei suoi occhi:
– La rivoluzione, Federica. Quei primi tre giorni sono stati una vera rivoluzione.
E io, ora, non ho più paura di parlarne.
Ora, che grazie a lui, l’ho vissuta anche io.
Scritto per MIFaccioDiCultura – Artspecialday.com
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